Cresce la sensibilità delle aziende sui temi dell'inclusione - Archivio
Il 14 novembre si è aperta la III edizione della 4 Weeks 4 Inclusion, il più grande evento interaziendale dedicato all'inclusione, che quest'anno vede impegnati oltre 250 partner fra imprese, Università, associazioni ed enti non profit per valorizzare, insieme, il diritto individuale alla diversità. Fra le novità di quest'anno la scelta di trasmettere in streaming il ricco programma di eventi digitali al link 4w4i.it con l'obiettivo di promuovere un dibattito interdisciplinare, aperto al pubblico, con i rappresentanti di istituzioni, imprese e associazioni sindacali. Sul sito è possibile registrarsi e trovare tutte le informazioni e gli aggiornamenti sul programma della manifestazione, che si concluderà il 6 dicembre. Un tema attuale che numerose indagini stanno tentando di portare all'attenzione dell'opinione pubblica. Anche secondo il 79% delle aziende, a livello internazionale, diversità e inclusione (D&I) sono parte integrante della strategia di business e sei imprese su dieci concordano sul fatto che un'azienda inclusiva ha prestazioni migliori. Ma solo il 32% afferma si tratti di un aspetto critico per il business. È quanto emerge dall'indagine Viewpoint di Dnv – uno dei principali enti di terza parte a livello globale – che indica come un numero crescente di aziende stia iniziando a inserire D&I tra i propri obiettivi. Le aziende concordano sul fatto che un'impresa attenta alle tematiche di diversità e inclusione ottiene risultati migliori, ma poche di esse considerano la D&I un elemento di importanza critica per il business. Tuttavia, le aziende che integrano la D&I nel loro modello di business possono ottenere significativi vantaggi in termini di performance. Nell'indagine ViewPoint di Dnv che ha visto coinvolte più di 500 aziende in tutto il mondo, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato che diversità e inclusione sono importanti e fanno parte sia degli obiettivi dell'azienda, sia della strategia di business. Analizzando più a fondo i dati emerge che solo pochi dei soggetti intervistati sembrano mettere in atto azioni concrete in modo strutturato e che, meno di un'azienda su tre ha definito una politica a livello aziendale. Circa la metà (51,9%) ha invece limitato la propria politica a un'iniziativa pilota o singola, il che indica una concentrazione su azioni specifiche piuttosto che su un approccio aziendale olistico. Allo stesso tempo, vi è una crescente consapevolezza delle opportunità che la D&I comporta per il business, confermate da numerosi rapporti e studi recenti. Secondo McKinsey, le organizzazioni con persone di diversa provenienza hanno il 36% di probabilità di ottenere risultati migliori; mentre, per le aziende che garantiscono diversità e inclusione anche di genere, la percentuale è del 25%. Ben l'88% ritiene che un'azienda inclusiva sia anche un'azienda più performante; tuttavia, solo il 32% considera la D&I un fattore critico per il business. L'attenzione delle aziende sembra concentrarsi sul miglioramento della cultura, del recruiting e della reputazione aziendale. Solo il 29% ritiene che l'aumento dell'innovazione sia il principale vantaggio di un'implementazione strutturata. Un numero ancora più esiguo guarda alle nuove opportunità di business (28%). Le aziende dovrebbero cercare di sfruttare i vantaggi di business che la D&I può generare. Ma, come rivela l'indagine ViewPoint, la maggior parte delle aziende è appena agli inizi e poche sembrano avere un approccio strutturato. Tra tutti gli intervistati, il 41,8% ha incluso principi e obiettivi nelle politiche aziendali, ma solo il 36,8% ha definito doveri di rendicontazione e responsabilità. Ancora meno sono quelli che misurano l'impatto delle azioni (20%). Lo standard ISO 30415 “Gestione delle risorse umane - Diversità e inclusione” è una norma relativamente nuova, pubblicata nel maggio 2021. Lo standard fornisce un quadro di riferimento che ogni organizzazione può adottare per integrare la D&I nei propri processi. In particolare, mette in evidenza l'intero ciclo di vita dei dipendenti e il modo in cui ogni elemento può essere esaminato alla luce della D&I. Ciò vale sia per i processi interni, sia per i partner esterni lungo la supply chain. La norma non si limita ad affrontare diversità e inclusione da un punto di vista personale, ma fornisce un quadro di riferimento che copre tutti gli aspetti importanti nell'ambito di un contesto organizzativo. Come rileva anche l'indagine di Cegos, condotta su 4mila dipendenti – di cui 500 italiani – e oltre 400 tra direttori e manager delle Risorse Umane – di cui 60 italiani – dal titolo Diversity & Inclusion nelle aziende: le competenze legate alle sfide di una trasformazione culturale, il 63% dei lavoratori ha dichiarato di essere stato oggetto di discriminazione sul luogo di lavoro almeno una volta e l’82% di aver assistito ad almeno una forma di emarginazione perpetrata in primo luogo dai colleghi di pari livello, ma anche dai manager di linea. Un dato che si ritrova principalmente, secondo i responsabili Hr, in riferimento all’età (25%), alle condizioni di salute (19%), al genere (18%), all’aspetto fisico (16%), al livello scolastico e allo status sociale (16%). La discriminazione basata sull'età è particolarmente diffusa anche in Italia (40%), così come quella di genere (27%). Assumono rilevanza anche identità di genere (18% vs 10% a livello globale) e situazione familiare (17% in Italia contro l’11% su scala internazionale). Tra le forme di emarginazione subita, i dipendenti citano l’aspetto fisico (24% in generale, 27% per gli italiani), seguito da età (23%), opinioni politiche (20%) e genere (18%); tra quelle cui hanno assistito gli italiani il fattore nazionalità è al quinto posto. Dipendenti e Hr Manager concordano (con percentuali tra il 20% e il 38%) sul fatto che gli episodi di discriminazione si riscontrino principalmente in tre momenti: durante l'assunzione, in fase di promozione e di integrazione. Consapevoli di ciò, per promuovere l’inclusione tre Hr su quattro affermano di applicare politiche di non discriminazione proprio in fase di recruiting (in Italia l’85% utilizza metodi il più possibile oggettivi per valutare le competenze) e per favorirla ulteriormente ritengono utili (con percentuali tra il 74% e l’82%) anche le leve dell'organizzazione del lavoro (più flessibilità o supporto per la genitorialità o in caso di malattie croniche) e della formazione specifica sul tema sensibilizzando tutti gli stakeholder. Le principali soft skill che un manager dovrebbe sviluppare per essere più inclusivo sono l'empatia e la comprensione, l'ascolto e la tolleranza. In Italia, con il 50%, il primo posto, invece, viene occupato dall’intelligenza emotiva, seguito dall'apertura mentale. La survey ha coinvolto sette Paesi: Brasile, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Portogallo e Spagna. Quasi la metà del campione - sia dipendenti sia Hr - opera in organizzazioni fino a 500 dipendenti, un quarto in aziende oltre le 2mila persone. I concetti di diversità e inclusione appaiono diffusi: il 71% del campione ha ben chiaro cosa si intenda per diversità, 3 su 4 hanno una visione cristallina sulla tematica dell’inclusione e ritengono che l’organizzazione rifletta la diversità della società, ma solo il 42% dei dipendenti afferma di sentirsi "pienamente incluso”. In questo contesto un Hr su due (il 53% in Italia) si considera “promotore” della diversity all’interno dell’organizzazione. Vi è poi un 43% dei Responsabili delle Risorse Umane che ritiene i manager diretti dei validi alleati per affrontare questi specifici problemi. I comportamenti sessisti sono meno frequenti secondo 6 rispondenti su 10, ma solo il 36% ritiene che le donne si sentano più libere di denunciare e in generale il 67% dei dipendenti (in Italia il 77%) è favorevole alla politica delle quote, così come il 65% degli Hr Manager (78% in Italia). Se una serie di azioni di sensibilizzazione sono già in atto - tra cui manager e dipendenti impegnati personalmente sul tema e processi di integrazione per neoassunti con formazione in materia -, serve però migliorare la comunicazione delle politiche di Diversity & Inclusion, chiaramente definite ed esposte in azienda solo per il 36% dei dipendenti italiani contro il 40% di quelli internazionali. Occorrerebbe, inoltre, favorire una politica "tolleranza zero" nei confronti di discriminazione e molestie per il 43% degli Hr Manager (37% in Italia). Per i rispondenti italiani sarebbero importanti anche lo sviluppo di una cultura comune, sottolineata dal 43% degli HR (38% a livello globale) e dal 34% dei dipendenti (32% a livello globale) e un management team che porti i valori dell’inclusione al più alto livello in azienda (43% rispetto al 33% dell’internazionale). Intanto si svolgerà in Fiera a Verona da giovedì 24 a sabato 26 novembre la XXXI edizione di Job&Orienta, il salone nazionale dell’orientamento, la scuola, la formazione e il lavoro. La manifestazione, articolata in una vasta rassegna espositiva e in un ricco programma culturale, è promossa da Veronafiere e Regione del Veneto, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e del Merito e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con il patrocinio del Comune di Verona e della Provincia di Verona e con la mediapartnership di Rai Cultura e Rai Scuola.
Tra buone prassi, ritardi e accordi inclusivi
L’86% delle aziende del settore dei servizi finanziari che operano in Italia sviluppa strategie per promuovere Diversity, Equity e Inclusion sul posto di lavoro, con una priorità sulle tematiche di genere. È quanto emerge dall’Italian Financial Industry 2022 Deloitte DE&I Maturity Index, la ricerca sviluppata da Deloitte in collaborazione con la Milano School of Management dell’Università degli Studi di Milano per misurare il livello di maturità nell’ambito di DE&I di aziende operanti nei servizi finanziari, asset manager e assicurazioni nel nostro Paese. La survey è stata pensata e disegnata seguendo il DE&I Maturity Model di Deloitte, un modello per misurare il grado di inclusione nelle organizzazioni, che prevede 4 livelli di maturità (1. Compliance, 2. Programatic, 3. Leader-Led, 4. Integrated Inclusive Culture). Secondo i dati della ricerca, nel settore Financial Services cresce l’attenzione nei confronti delle tematiche di genere, considerate dal 72% dei rispondenti come il principale pilastro strategico su cui concentrare le attività a favore della DE&I. Un altro dato interessante che emerge è che l’83% delle organizzazioni afferma di avere delle iniziative legate alla genitorialità. In particolare, il 49% delle aziende del settore finanziario prevede permessi retribuiti per la cura dei figli. Tra gli altri temi maggiormente diffusi lo sviluppo di una leadership inclusiva, promossa dal 49% delle organizzazioni analizzate dal report. Il focus strategico sulle tematiche di genere si riflette anche nella promozione di attività di female representation (72%) e di formazione sull’empowerment femminile, mentre il 74% dei rispondenti ha introdotto indicatori di selezione per tipologia di diversity. L’interesse si scontra, però, con la realtà dell’organizzazione aziendale: nella maggior parte delle organizzazioni che hanno partecipato alla survey, meno del 20% delle posizioni apicali è affidato alle donne, mentre la percentuale sale al 30% per quanto riguarda le posizioni di middle management. In questo senso, il settore assicurativo è quello con più donne in C-Suite e in middle management, mentre l’Asset Management è il comparto con più margini di miglioramento. Il divario fra piccole aziende e organizzazioni appartenenti a grandi network internazionali emerge con grande chiarezza nelle iniziative dedicate specificamente aldiversity management. L’81% delle aziende a campione con più di 1.000 dipendenti e la maggior parte facenti parte di un network internazionale hanno attivato 4 o più iniziative per sviluppare la diversity. Una dinamica simile si verifica se si considerano le aziende che fanno parte di network internazionali: tutte le organizzazioni che appartengono a un network che va al di là dei confini nazionali hanno sviluppato almeno un’iniziativa, la maggior parte 4 o più. La stessa tendenza si riflette in merito alla governance DE&I: fra le aziende rispondenti che dichiarano di avere una governance DE&I, quasi 8 su 10 afferiscono a un network internazionale (79%) e hanno più di 1.000 dipendenti (85%). Il 52% delle organizzazioni non hanno una governance DE&I. Un altro tema di interesse per le strategie DE&I è il sostegno alla popolazione aziendale LGBTQI+. Nello specifico, solo il 38% dei rispondenti alla survey afferma di sviluppare delle iniziative a sostegno della popolazione LGBTQI+, tra cui campagne di sensibilizzazione e di comunicazione ad hoc, eventi e formazione. Tra coloro che hanno una strategia DE&I, solo il 21% dichiara di mettere in campo vere e proprie policy legate all’uguaglianza della comunità LGBTQI+. Il 74% delle organizzazioni adotta iniziative a sostegno della popolazione con disabilità e neurodiversità, tuttavia la loro inclusione viene considerata un pillar strategico solo dal 28% delle organizzazioni rispondenti. La DE&I e i valori che incorpora stanno trovando sempre più spazio nelle relazioni di business. Il 30% dichiara infatti di tenerne conto nell’instaurazione e nella scelta delle relazioni di business con clienti e fornitori e un altrettanto 27% ha dichiarato di volerne tenere conto nel prossimo futuro. Oltre la metà (il 54%) dei rispondenti inoltre ha sottolineato di considerare rilevante la DE&I nell’erogazione, nel design e della comunicazione dei prodotti e dei servizi. Tuttavia, per il Gender Gap Report 2021 del World Economic Forum, l’Italia – su 156 Stati – è al 63esimo posto per l’indice che analizza le differenze di genere in quattro diversi ambiti: partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza ed empowerment politico. Il nostro Paese, rispetto al 2020, è risalito di 13 posizioni, ma la strada da fare è ancora molta. Gli ultimi cinque anni hanno visto tassi di digitalizzazione senza precedenti in ogni settore dell'economia, con una notevole accelerazione negli ultimi due anni, soprattutto a causa della pandemia. Solo nel 2021 negli investimenti privati sono stati versati 93,5 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al 2020. C’è, però, pochissimo spazio per le donne: come ha evidenziato il Global Gender Gap Report 2022, infatti, la percentuale di uomini laureati in Information and Communication Technology (Ict) è del 400% più alta rispetto a quella delle donne che tradotto significa 8,2% di uomini rispetto all’1,7% di donne. Un divario evidentissimo che potrà essere colmato, secondo le stime, solo tra 132 anni. Sebbene la ricerca di The Adecco Group Italia - che ha coinvolto oltre 20mila lavoratori e più di 500 aziende, sostenga che oltre il 70% del mondo business e più del 60% dei lavoratori affermi che la parità di genere ha un impatto molto positivo sulle performance aziendali. L’ampia concordanza che emerge dalla ricerca di The Adecco Group Italia sul fatto che la parità di genere abbia un forte impatto sulle performance aziendali, si sposa con un sentimento di ottimismo sul futuro della parità di genere: per oltre l’85% dei lavoratori e per il 95% delle aziende le donne nei prossimi anni avranno ruoli sempre più di primo piano e una presenza più corposa in settori che oggi vedono una prevalenza nettamente maschile. Solo per 1 italiano su 10 la situazione non vedrà miglioramenti rispetto ad oggi. La ricerca individua poi dove, secondo l’opinione pubblica, la presenza femminile vedrà una maggiore valorizzazione nei prossimi anni. Per oltre il 20% dei rispondenti (donne, uomini e mondo business), i ruoli di top management saranno quelli in cui la presenza femminile crescerà maggiormente. Ma non solo, il numero di donne aumenterà anche nel mondo della politica e nelle professioni Stem, che completano il podio e raccolgono più del 15% dei voti ciascuno. Cosa sarà necessario fare per raggiungere questi risultati e in quali campi agire in maniera prioritaria per favorire un maggior parità di genere? Equità salariale e politiche di welfare strutturate per un corretto work-life balance sono sicuramente le aree individuate trasversalmente sia da lavoratori che da aziende. Ma, mentre i primi identificano la parità salariale come prioritaria (35%), le aziende la mettono al secondo posto (29%), puntando maggiormente sui sistemi di welfare (37%) che, invece, per i lavoratori occupano il secondo gradino del podio delle priorità (27%). Cresce l’importanza attribuita al congedo di paternità nelle generazioni più giovani, al 13% per la Gen Z e 12% per i Millenials, il doppio rispetto agli over 40. In fondo alla classifica si trovano le quote rosa, che non raccolgono più del 3% delle preferenze. Un ulteriore aspetto di riflessione emerge dall’analisi del perché alcuni settori abbiano oggi una maggiore trazione maschile e altri invece una presenza femminile più strutturata. Secondo il 40% degli uomini questa distinzione è dettata principalmente da differenza di passioni tra uomo e donna; secondo il 45% delle donne, invece, il problema è principalmente legato a motivi culturali e di consuetudine. Questo mismatch di percezione sarà sicuramente un aspetto su cui lavorare, per colmare i gap che tutt’oggi sussistono nella nostra società. Ma chi, secondo lavoratori e aziende, dovrebbe essere il motore questa trasformazione? Per circa il 33% dei lavoratori dovrebbe essere lo Stato italiano, attraverso una legiferazione ad hoc, e solo in seconda battuta le aziende che, per circa il 23% dei rispondenti, dovrebbero essere alla guida di questo cambiamento. Se si analizzano le risposte del mondo business, lo scenario si ribalta. Secondo il 40% delle aziende, infatti, il compito di guidare questa trasformazione ricade proprio su di loro, mentre la politica viene individuata come maggior responsabile dell'incremento della parità di genere solo dal 24% dei rispondenti. Il terzo attore a giocare un ruolo di rilievo nella lotta al gender gap, sia per le aziende che per i lavoratori, è il sistema educativo, fondamentale per vincere la sfida culturale che è alla base di questo cambiamento. Ma i più attenti al ruolo che questo deve giocare risultano i giovani della Generazione Z. Nel 24% dei casi, infatti, vedono proprio il sistema educativo come il principale motore di questo cambiamento, circa il 20% in più rispetto alle altre generazioni. Entro il 2026, comunque, almeno mille imprese italiane dovranno aver superato i test che certificano l’abbattimento di ogni forma di divario di genere sui luoghi di lavoro. Per compiere questa scelta volontaria, sostenuta dai fondi del Pnrr, le imprese potranno contare sul supporto fornito da Unioncamere e dal sistema camerale, in virtù di un Accordo di collaborazione stipulato con il Dipartimento delle Pari Opportunità in materia di certificazione della parità di genere. L’intesa assegna a Unioncamere un ruolo chiave nell’attuazione della certificazione prevista dalla Strategia nazionale per le pari opportunità 2021-2026 e dalle iniziative del Pnrr ad essa collegate. A Unioncamere, in accordo con il mondo associativo, con gli sportelli UNICAdesk (il servizio delle Camere di commercio per la normazione tecnica volontaria) e con la rete dei Comitati per l’imprenditorialità femminile delle Camere di commercio, è affidato l’incarico di mettere a punto la progettazione e organizzazione di servizi per l’introduzione del sistema di certificazione della parità di genere; la gestione ed erogazione dei pagamenti per i costi di certificazione; l’attivazione di servizi di accompagnamento e assistenza tecnico-consulenziale; la promozione e sensibilizzazione delle imprese. Le risorse al momento previste consentiranno di fornire assistenza a un migliaio di aziende di micro, piccole e medie dimensioni. Di queste, 450 potranno avvantaggiarsi anche della copertura dei costi di certificazione. Le linee guida del sistema di certificazione della parità di genere (Uni/PdR 125:2022) si basano su alcuni cardini fondamentali: rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza; adozione di politiche e misure per favorire l'occupazione femminile - specie quella delle giovani donne e quella qualificata - e l’imprenditoria femminile, anche con incentivi per l'accesso al credito e al mercato ed agevolazioni fiscali; adozione di misure che favoriscano l’effettiva parità tra uomini e donne nel mondo del lavoro (tra cui, pari opportunità nell’accesso, nel reddito, nelle opportunità di carriera e di formazione, piena attuazione del congedo di paternità in linea con le migliori pratiche europee); promozione di politiche di welfare a sostegno del “lavoro silenzioso” di chi si dedica alla cura della famiglia. Stando a una recente rilevazione, già il 23% degli imprenditori e delle imprenditrici intervistati per il V Rapporto sull’imprenditoria femminile di Unioncamere si è dichiarato interessato alla certificazione, con una propensione maggiore tra gli imprenditori laureati (31%), rispetto a quelli in possesso di un diploma (22%) o della licenza elementare/media (14%). Fondirigenti, invece, ha stanziato 1,5 milioni di euro per contribuire alla crescita della competitività aziendale grazie all’investimento formativo sul talento femminile. L’Avviso, attraverso interventi formativi rivolti allo sviluppo delle competenze manageriali femminili, vuole rappresentare uno strumento concreto a supporto della riduzione del divario di genere. I destinatari dei Piani formativi sono esclusivamente dirigenti donne di aziende aderenti e neo-aderenti al Fondo. Potranno altresì partecipare, in qualità di uditori, dirigenti di sesso maschile e altre figure manageriali (imprenditori, manager, giovani manager). Ogni impresa potrà presentare un unico Piano formativo aziendale singolo e richiedere un finanziamento massimo di 12.500 euro. Intanto è partito il Programma ACCEDER-E Inclusione, Formazione, Lavoro che ha l’obiettivo di favorire l’accesso al mercato del lavoro dei soggetti più vulnerabili e a rischio di marginalità, tra cui i membri delle popolazioni rom, sinti e caminanti. Il Programma è promosso da Unar - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri - e gestito da Invitalia, Agenzia per lo sviluppo del ministero dell’Economia. In particolare, ACCEDER-E mira a fornire ai destinatari finali (persone a rischio di discriminazione ed esclusione sociale) un bagaglio di conoscenze e competenze professionali fondamentali per favorirne l’integrazione attiva nelle comunità territoriali e nel mercato del lavoro, avvalendosi del coinvolgimento del mondo associazionistico e del Terzo settore nonché di quello imprenditoriale. Il Programma, finanziato dal Pon Inclusione 2014-2020 con 7,4 milioni di euro, prevede due linee di intervento complementari:
- la Linea A rivolta a enti e associazioni di settore, nonché a operatori economici che operano nell’ambito della formazione professionale e/o nelle politiche attive del lavoro, attraverso una call per la presentazione dei progetti di formazione professionale personalizzata e di accompagnamento al lavoro e all’avvio di impresa entro il 22 novembre 2022;
- la Linea B rivolta al mondo delle imprese, attraverso una call per la manifestazione di interesse all’attivazione di tirocini on the job da inviare entro e non oltre il 15 dicembre 2022. La linea prevede la possibile fruizione di bonus “assunzione”, in favore dei beneficiari individuati anche attraverso la Linea di intervento A. Le istanze dovranno essere trasmesse esclusivamente via PEC all’indirizzo attuazione-po@postacert.invitalia.it, compilando i documenti disponibili nella sezione dedicata sul sito di Invitalia, dove sono disponibili anche tutte le informazioni sul Programma.
Infine torna Digital Diversity Week. Si svolgerà dal 28 novembre al 2 dicembre in modalità completamente digitale, con cinque giornate dedicate al recruiting e all’employer branding per i candidati con disabilità e appartenenti alle categorie protette. L'evento è nato dalla partnership tra Jobmetoo by Seltis Hub e Start Hub Consulting con l'obiettivo di facilitare l’incontro tra aziende e persone in target in cerca di lavoro.
La nuova indagine europea di Littler
Un’indagine condotta su un campione di 700 direttori Hr - Littler, studio di diritto del lavoro a livello globale, ha presentato i dati della V edizione di European Employer Survey - fornisce una fotografia delle principali tematiche che le aziende devono affrontare in questo periodo storico attraversato da una profonda trasformazione del posto di lavoro. Appare evidente come l’evoluzione del mondo del lavoro generi una serie di nuove preoccupazioni tra le aziende, tra cui la più urgente sembra riguardare la definizione del limite entro cui è possibile richiedere il lavoro in presenza. L’edizione di quest’anno mostra una spaccatura tra il desiderio di aumentare il lavoro in presenza e la garanzia di flessibilità necessaria per attrarre e trattenere i talenti. Alla domanda sugli attuali orari di lavoro dei dipendenti, il 30% del campione ha dichiarato di avere effettuato un completo ritorno alla presenza, mentre il 27% ha optato per una forma di orario ibrida, con più giorni di lavoro in presenza e meno da remoto. Solo l'11% vede i propri dipendenti seguire un orario ibrido con più giorni di lavoro da remoto rispetto a quelli in presenza mentre il 5% ha dichiarato che i propri dipendenti lavorano completamente da remoto. Sulla base delle risposte fornite potrebbe esserci un trend crescente di aziende che preferisce il lavoro in presenza – come dichiarato dal 73% dei datori di lavoro che sta valutando la possibilità di ridurre il lavoro a distanza – ma questo atteggiamento si scontra con una resistenza crescente da parte dei dipendenti, riluttanti a rinunciare alla flessibilità acquisita. Sebbene l'indagine di quest'anno registri un maggiore allineamento tra le politiche adottate dai datori di lavoro e le esigenze dei dipendenti – dichiarato dal 40% dei rispondenti, rispetto all’anno scorso dove solo il 28% evidenziava una corrispondenza dei propri modelli di lavoro rispetto alle preferenze dei dipendenti - il 42% continua a ritenere che i propri dipendenti preferiscano in misura maggiore modalità di lavoro ibride o da remote rispetto a quelle offerte. Visto e considerato che i datori di lavoro si muovono su una linea sottile tra l'esigenza di lavorare di persona e quella di offrire flessibilità, cresce l’importanza di valutare i vantaggi generati da modalità di lavoro da remoto - che il 79% vuole aumentare per contribuire ad attrarre e trattenere i talenti - con quelli del lavoro in presenza. I motivi principali che spingono i datori di lavoro a richiedere un maggior numero di ore di lavoro in presenza riguardano la cultura e il lavoro di squadra, tra cui una maggiore collaborazione tra team e stimolazione del pensiero creativo (54%) e un maggior impegno da parte dei dipendenti (48%), piuttosto che la produttività e i costi. Vantaggi che sono correlati a uno dei principali motivi di rinuncia del lavoro da remoto, ossia il mantenimento della cultura aziendale e del coinvolgimento dei dipendenti (53%). Indipendentemente dal modello di lavoro, resta alta l’attenzione a salute mentale e benessere delle risorse umane. Sebbene nove intervistati su dieci abbiano adottato iniziative in questa direzione nell'ultimo anno, solo il 28% lo ha fatto in maniera strutturata. Inoltre, quando si tratta di offrire una soluzione al burnout, la flessibilità oraria è stata l'unica misura adottata da più della metà degli intervistati (54%), mentre azioni più concrete - come lavorare individualmente con i dipendenti per gestire i carichi di lavoro - sono ancora scelte da meno di un terzo degli intervistati. La gestione dei cosiddetti "nomadi digitali" - dipendenti che lavorano in un Paese diverso da quello in cui si trova la sede dell’azienda - rappresenta la vera nuova sfida. Tra le aziende che si trovano a gestire risorse in questa condizione, la stragrande maggioranza (89%) è preoccupata dei rischi legali, delle implicazioni fiscali e di altri problemi occupazionali che ne derivano. Inoltre, dalle risposte raccolte, questo fenomeno sembra in aumento con il 73% degli intervistati che dichiara di avere dipendenti “nomadi digitali”, rispetto al 61% del 2021. Quasi la metà degli intervistati (47%) sta utilizzando o pianificando di utilizzare soluzioni tecnologiche e/o strumenti di intelligenza artificiale per supportare le attività di recruiting e assunzione. Inoltre, il 61% di coloro che già utilizzano tali strumenti ha dichiarato di averne incrementato l’utilizzo nell'ultimo anno, sottolineando l’efficacia dell'intelligenza artificialee della tecnologia per attrarre nuovi talenti. Rispetto alle misure adottate dai datori di lavoro, mentre più della metà (54%) di coloro che utilizzano soluzioni tecnologiche per il recruiting ha dichiarato di aver sviluppato un piano che identifica obiettivi specifici e verifica i risultati, meno di un terzo ha condotto una valutazione per garantire la conformità alla privacy dei dati (31%) o si è coordinato con i fornitori per condurre revisioni degli algoritmi e identificare potenziali difformità (28%). In un contesto di crescente incertezza economica, l'indagine ha anche rilevato segnali di cautela da parte dei datori di lavoro europei, che tuttavia non sembrano ancora adottare misure drastiche. Circa un quarto (27%) sta esitando nell’assunzione di nuove risorse per le preoccupazioni a livello macroeconomico, mentre il 37% sta valutando o attuando riduzioni di personale.
Oltre 6mila opportunità in vista del Natale, Eat Happy Group annuncia 100 punti vendita in tre anni
Sono oltre 6.100 i profili che Gi Group sta cercando per la stagione natalizia su tutto il territorio nazionale e in particolare nei settori Logistica, Gdo e Retail. Le posizioni si rivolgono sia a giovani che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro o studenti che vogliono sfruttare il periodo di pausa per fare esperienza, sia a candidati e lavoratori con un percorso professionale già avviato alla ricerca di nuove opportunità. Solo per il settore Logistica, sono oltre 3.600 gli inserimenti previsti per i ruoli di magazziniere, addetti al confezionamento e customer service. Le posizioni aperte si rivolgono sia a profili con esperienza pregressa che a candidati senza esperienza. Si richiede inoltre disponibilità part time, full time, nei weekend. Per la Grande Distribuzione Organizzata sono invece 1.100 le posizioni aperte come scaffalisti, addetti ai banchi specializzati (salumeria, macelleria, pescheria, forno) e cassa. Oltre a disponibilità part time o full time, è apprezzata una predisposizione al contatto con il pubblico. Ci si rivolge sia a coloro che hanno già esperienza e sia a chi ha un diverso background o sta cercando una nuova opportunità. Ulteriori possibilità arrivano anche dal settore Retail, per il quale l'Agenzia per il lavoro sta cercando circa 900 profili come addetti vendita e allestimento e dal settore Horeca con circa 470 profili da inserire come addetti alla ristorazione, camerieri e aiuto cuoco. Anche per queste posizioni si valutano persone con o senza esperienza e con disponibilità al lavoro part time, su turni e anche nei giorni festivi e fine settimana. Le offerte interessano tutto il territorio nazionale. In particolare, per il settore Logistica in: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Toscana, Lazio. Per la Gdo la ricerca si svolge principalmente in Abruzzo, Marche, Lazio Liguria e Piemonte. Retail e Horeca, invece, concentrano la loro domanda in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Sicilia, Toscana e Piemonte. Per invio cv: www.gigroup.it – registrazione su www.mygigroup.it.
Intanto Eat Happy Group, multinazionale innovativa nel settore del food e specializzata nella produzione di sushi, ha inaugurato a Bentivoglio (Bologna), un nuovo centro produttivo all’interno dell’Interporto. La struttura è la più grande in Italia del Gruppo e sancisce l’ampliamento distributivo del brand Wakame, costituendo inoltre il primo tassello di un solido piano di espansione e sviluppo del business. In tre anni l’obiettivo è di aprire 100 nuovi punti vendita e raddoppiare il numero di vetrine dalle oltre 320 già esistenti. I punti vendita consistono in corner all’interno degli store della Gdo in cui i sushi chef preparano sul momento i prodotti della cucina asiatica e le box per i clienti, le vetrine invece consistono negli espositori di box all’interno dei negozi con i prodotti del marchio. L’inaugurazione del nuovo sito produttivo di Bentivoglio mira, inoltre, a potenziare l’occupazione sul territorio: a pieno regime lo stabilimento prevede l’impiego di 150 persone. È prevista quindi l’assunzione di circa 120 nuove figure professionali in ambito produttivo e di magazzino, che si andranno ad aggiungere ai 30 dipendenti già operativi.
Infine continua a crescere faire.ai (https://www.faire.ai/), la fintech B2B specializzata nell’automazione del credito al consumo. La start up proprio in questo periodo si sta preparando a due nuovi ingressi: un senior strategy manager (fintech) e un growth marketing manager. Nel 2023 si prospettano, inoltre, almeno dieci ulteriori nuove posizioni aperte. Per entrambe le posizioni, è previsto un contratto a tempo indeterminato, in modalità ibrida. La start up, inoltre, si fa promotrice dello spirito di squadra, tutelando ed esaltando la diversità culturale; mette a disposizione, infine, diversi benefit, come buoni pasto, personal computer e aree di lavoro che favoriscano la socialità.
Per candidarsi come senior strategy manager (Fintech): https://www.linkedin.com/jobs/view/3334868105.
Per candidarsi come growth marketing manager: https://www.linkedin.com/jobs/view/3334858819.