Oltre un terzo delle grandi imprese italiane (il 37%) prevede nei prossimi tre anni di aumentare almeno del 50% le risorse umane e finanziarie dedicate ai big data, tuttavia il principale strumento digitale utilizzato dai clienti nel rapporto con le aziende rimane il tradizionale sito internet (51%). Seguono, con il 25%, l’utilizzo del mobile/smartphone e i social media con il 12%. Ancora poco diffuso l’uso di chat-bot, che si ferma al 5%. È il quadro che emerge dall’indagine condotta dall’Istituto per la Competitività I-Com per il Report Verso l’Isola del tesoro. Le rotte dei consumatori tra protezione e mercato e la mappa della regolazione. Lo studio, curato da Stefano da Empoli, presidente di I-Com, e da Silvia Compagnucci, direttore Area Comunicazioni di I-Com, ha l’obiettivo di fornire una descrizione del grado di digitalizzazione dei mercati consumer, con focus su Big Data & Intelligenza Artificiale (Ia) e cybersecurity.
Alla luce della rivoluzione digitale in atto, I-Com ha condotto un'indagine coinvolgendo alcune delle principali imprese italiane che operano nei mercati retail. Nello specifico, sono state interpellate 42 aziende (per il 74% si tratta di grandi imprese) attive in diversi settori industriali: assicurazioni, banche, carburanti, commercio e Gdo, energia elettrica e gas, Ict e Internet, poste, servizi Idrici, Tlc e media, trasporti. L’obiettivo è comprendere il livello di sviluppo dei Big Data e del canale digitale nelle imprese italiane; analizzare il livello di comprensione delle potenzialità dei sistemi di Ia e la loro applicazione e approfondire il grado di consapevolezza dei rischi informatici da parte di imprese e consumatori.
Stando ai dati di I-Com, per le imprese le maggiori criticità da risolvere per favorire il decollo del canale digitale sono innanzittutto le inerzie culturali e le resistenze al cambiamento (78%). A seguire, il costo di sviluppo e di gestione degli strumenti digitali (41%). Le aziende coinvolte nella survey incentivano il cliente a rilasciare maggiori dati, soprattutto garantendo servizi aggiuntivi rispetto all’offerta base (61%) o attraverso fidelity card (41%). Le informazioni ottenute vengono poi utilizzate soprattutto ai fini di profilazione del cliente e sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
Scorrendo i risultati dell’indagine I-Com, il 59% delle imprese si dice favorevole all’adozione di sistemi di intelligenza artificiale, nonostante il 46% del campione del campione non abbia attualmente in funzione alcun dispositivo di IA. Il 33%, al contrario, fa utilizzo di chat-bot. Il 37% degli intervistati vede nel customer care la funzione aziendale che più si presta ad essere integrata o sostituita da dispositivi di intelligenza artificiale e il 38% immagina che entro tre anni i sistemi di IA possano svolgere alcuni lavori nella propria azienda. Esistono, tuttavia, diverse preoccupazioni rispetto all’Intelligenza artificiale: il 22% del campione di imprese, ad esempio, ha timori per il regime di responsabilità civile e penale e il 19% per la protezione dei dati personali, oltre che per le questioni di natura etica (17%).
«Continua a preoccupare l’immaturità dell’Italia nell’utilizzo dei servizi digitali - ha dichiarato Stefano da Empoli -. Per stare al passo con il resto d’Europa, è necessario continuare a investire sulle infrastrutture, in particolare sulla fibra ottica e sul 5G, ma anche a promuovere l’alfabetizzazione informatica e la domanda da parte dei consumatori. In questo processo di maturazione, un forte contributo può essere offerto dalla Pubblica Amministrazione e dalla digitalizzazione dei suoi servizi, con un switch off di almeno alcune delle modalità attuali di accesso fisico».
Un segnale incoraggiante viene dalla diminuzione della percentuale di utenti internet preoccupati nell’acquistare beni e servizi on line, con una riduzione di ben 19,4 punti percentuali rispetto al 2010. Un miglioramento notevole, visto che al tempo l’Italia era il Paese, all’interno dell’Ue, dove la problematica della sicurezza informatica maggiormente limitava gli acquisti online. Sono stati fatti dei passi in avanti nel tempo, ma c’è sicuramente ancora molto da fare se una fetta importante degli utenti Internet appare ancora molto preoccupata dell’aspetto sicurezza al punto tale da modificare i propri comportamenti in rete. In questo senso, un ruolo importante lo giocano le imprese stesse, che affrontando il tema possono garantire una maggiore sicurezza ai propri clienti/utenti, ma anche a sé stesse, salvaguardando il corretto svolgimento delle proprie attività economiche.
Secondo lo studio, sale il livello di allerta tra le aziende che, nel quinquennio 2010-2015, rispondono, in numero crescente, con formali politiche di sicurezza sull’Ict. Tra le imprese italiane appare particolarmente sentito il problema: al 2015, il 42,9% di esse (29,4% nel 2010) risultava aver formalizzato, all’interno della propria azienda, una politica di sicurezza informatica, un dato nettamente superiore alla media europea (31,6%), ma tuttavia ancora basso se si considera la portata del fenomeno. In nessuno dei Paesi Ue troviamo un’incidenza superiore al 50%, ma il problema maggiore in realtà resta legato alle pmi.
«Occorre ancora lavorare a livello Ue e italiano, per un’effettiva politica comune di ciberdifesa europea, attraverso la messa a sistema delle migliori esperienze provenienti dagli Stati membri e dai relativi centri di studio e ricerca - ha concluso Silvia Compagnucci -. Vanno messi a disposizione maggiori fondi per l’incremento del sistema di sicurezza cibernetica europea. L’implementazione dell’Ia deve essere poi accompagnata da una riflessione attenta su privacy, sicurezza e protezione dei dati personali, attraverso la creazione di un sistema che consenta, in maniera trasparente, di far capire le enormi potenzialità dell’Ia, che porti a scelte basate sul consenso e che sia infine capace di minimizzare le asimmetrie informative».
Oltre un terzo delle grandi imprese italiane (il 37%) prevede nei prossimi tre anni di aumentare almeno del 50% le risorse umane e finanziarie dedicate ai big data
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