Vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto è una questione di punti di vista. I più fiduciosi preferiscono concentrare le attenzioni sulla sostanziale tenuta delle vendite, soprattutto in zona Ue, che si traducono con la parola «crescita» (+5,5%) se confrontate con i dati dello stesso periodo di un anno fa. Gli iscritti al "partito" dei pessimisti, invece, guardano con preoccupazione al crollo degli acquisti e intravedono i primi cedimenti anche per le esportazioni, che finora hanno tenuto a galla l’economia italiana. La fotografia dell’Istat su import (-5,3%) e export (-1,4%) per il mese di giugno divide gli addetti ai lavori. Ma tutti concordano almeno su un fatto: la bilancia commerciale complessivamente tiene, con un surplus di 2,517 miliardi dal deficit di 1,704 miliardi, registrato nello stesso periodo del 2011. Si tratta dell’avanzo più alto dal luglio del 2005.Del resto, dopo i dati allarmanti del Pil diffusi tre giorni fa sempre dall’Istituto nazionale di statistica (-2,5% in un anno) e la conseguente "ufficialità" di una recessione sempre più forte per il Bel Paese, ieri era difficile aspettarsi un quadro migliore. Ma, per dirla con le parole del presidente di Confindustria Anie (elettronica e elettrotecnica), Claudio Andrea Gemme, «nel mercato non si intravede una grande reattività e i prossimi sei mesi si preannunciano particolarmente difficili».Intanto i numeri del primo semestre 2012 indicano un saldo commerciale vicino al pareggio (-85 milioni). Il calo congiunturale delle vendite fuori i confini nazionali, dunque, si spiega soprattutto con il decremento della domanda dai paesi extra Ue (-2,8%), mentre il mercato interno al Vecchio continente si conferma stazionario. L’aumento tendenziale delle esportazioni, invece, è particolarmente rilevante per i prodotti energetici (+21,4%), seguiti dai beni di consumo non durevoli (+9,9%) e durevoli (+8,3%).Al contrario del commercio estero la domanda nazionale su base annua diminuisce drasticamente (-7,1%), a testimonianza di una riduzione del potere d’acquisto delle famiglie italiane che si ripercuote su tutti i comparti. Il notevole calo congiunturale delle importazioni è indotto dalla consistente flessione negli acquisti di beni strumentali (-9,5%) e di prodotti intermedi (-5,1%). Questi raggruppamenti spiegano quasi il 70 per cento del crollo complessivo dell’import.Nella direzione dei flussi commerciali, rispetto a giugno 2011, si nota una crescita nell’export di Giappone (+38,0%), Stati Uniti (+35,4%) e paesi Opec (+33,0%). Ad aumentare sono soprattutto le vendite di articoli sportivi, giochi e preziosi (+17,8%), prodotti petroliferi raffinati (+16,7%) e farmaceutici (+16,1%). Sul fronte import è marcata la riduzione delle importazioni dall’India (-44,2%) e dai paesi Mercosur, ovvero Brasile, Paraguay, Uruguay, Argentina, (-33,4%), mentre sono in forte crescita gli acquisti dai paesi Opec (+25,3%).Tra i settori in affanno c’è anche l’industria italiana delle tecnologie. Confindustria Anie comunica che nel 2011 il volume d’affari aggregato è stato pari a 71 miliardi di euro, con un fatturato complessivo in flessione del 4,2% a valori correnti. «L’andamento specifico del settore rispecchia quello generale – analizza il presidente Gemme – .Per quanto riguarda l’export l’aspetto più positivo è quello che vede i contratti in essere non cancellati, dunque si spera che i progetti concordati vadano in porto nel prossimo futuro. I carichi di lavoro, però, stanno diminuendo sensibilmente. In sostanza il mercato è bloccato e si vive di rendita per quanto fatto lo scorso anno». Secondo il numero uno di Confindustria Anie il 2012 si preannuncia un anno particolarmente duro soprattutto per le piccole realtà, che vedranno aumentare le aziende a rischio insolvenza: «A soffrire di più saranno le Pmi, che pagano a caro prezzo la crisi di liquidità e spesso si ritrovano senza le risorse sufficienti per resistere alla bufera».