venerdì 20 maggio 2011
La speculazione sta tornando ai livelli che precedettero la crisi scoppiata nel 2008. Il valore complessivo dei contratti derivati che si muovono fuori dalle piattaforme convenzionali è risalito nel 2010 a 25mila miliardi di dollari. Un valore pericolosamente vicino ai 30mila miliardi del sistema bancario internazionale.
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Ci sono troppi soldi in giro. Li hanno distribuiti banche centrali esageratamente generose nei loro sforzi di risollevare il mondo dalla crisi, li hanno incassati i soliti maghi della finanza (resi ancora più arditi dal sortilegio dei salvataggi di Stato), li stanno puntando sul petrolio, sul cibo, sull’insolvenza degli Stati. Li stiamo pagando tutti: cittadini simultaneamente finanziatori e vittime del grande gioco della speculazione.«Sono tornati i bankers, la speculazione è a piede libero» aveva detto Giulio Tremonti a ottobre da New York, liquidando con un inglese dispregiativo i manager e i banchieri d’affari che giravano attorno ai lavori dell’assemblea del Fondo monetario internazionale come se non fossero stati proprio loro a scatenare la crisi. Da quel momento il ministro italiano è stato tra i più determinati nemici della nuova ondata di speculazione. Nell’interpretazione di Tremonti ci sono i giochi degli speculatori dietro quasi tutti i rischi che incombono sulla fragile ripresa globale: la corsa del greggio, quella dei prezzi alimentari, le scommesse sull’insolvenza degli Stati dell’euro. Non che la volata dei prezzi sia tutta riconducibile alla speculazione, ma le scommesse dei bankers alimentano tendenze altrimenti più moderate. L’allarme è alto. Anche Benedetto XVI lo ha sottolineato, lunedì scorso, ricevendo i partecipanti al Congresso del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che festeggiava il 50esimo anniversario dell’Enciclica Mater et magistra. Sono preoccupanti, ha detto il Papa, «i fenomeni legati ad una finanza che, dopo la fase più acuta della crisi, è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credito che spesso consentono una speculazione senza limiti». Non è solo un problema etico, ha chiarito Benedetto XVI, perché la speculazioni colpisce anche il cibo, l’acqua, la terra, «finendo per impoverire ancor di più coloro che già vivono in situazioni di grave precarietà».Non tutti trovano pericolosa questa nuova vitalità della speculazione internazionale. La vedono diversamente – e da mesi lo scrivono – le più prestigiose testate economiche internazionali: Wall Street Journal, Economist, Financial Times. Ma tra i ministri e i capi di Stato la visione tremontiana gode di ampio consenso. Nicolas Sarkozy vuole che dalla presidenza francese del G20 arrivi una tassa internazionale contro la speculazione sulle materie prime. Angela Merkel è pronta a dare il suo contributo. Barack Obama ha promesso una lotta agli «speculatori senza scrupoli». Mario Draghi – da guida del Financial stability Board e presidente in pectore della Bce – ha denunciato la necessità di frenare il ritorno «dell’azzardo morale», inteso come la convinzione di potere rischiare perché anche se le cose andassero male non se ne pagherebbero le conseguenze. «Capitalismo casinò» lo chiamava Keynes negli anni Trenta, quando l’ingegneria finanziaria non aveva certo raggiunto la sofisticazione attuale.Che la speculazione sia tornata lo dicono, inesorabili, i numeri. Proprio Tremonti, lo scorso ottobre, aveva mostrato le cifre della Banca dei regolamenti internazionali: erano gli ultimi dati disponibili e dicevano che il valore complessivo dei contratti derivati che si muovono fuori dalle piattaforme convenzionali era risalito fino a 25 mila miliardi di dollari. Un valore pericolosamente vicino ai 30 mila miliardi del sistema bancario internazionale. Significa che per ogni dollaro scambiato nelle borse c’è un altro dollaro investito in derivati sul petrolio, sui tassi di cambio, sull’insolvenza degli Stati o su giochi sui tassi di interesse. Sono contratti che sfuggono ad ogni controllo – e infatti lo chiamano il «sistema bancario ombra» – ma che hanno il potere di orientare l’economia mondiale. Avevano toccato un picco di 35mila miliardi nel 2008, erano scesi fino a 20 miliardi nel 2009, ora stanno risalendo.Le banche, poi, anche in Italia, hanno ricominciato a cartolarizzare i mutui. A impacchettare cioè i prestiti concessi ai clienti e a rivenderli a investitori istituzionali attraverso i Cdo. Proprio quegli strumenti finanziari che hanno contribuito a creare la bolla dei mutui subprime e ad amplificare gli effetti dello scoppio.Ai numeri del sistema ombra si aggiunge una terza spia dell’arrembaggio speculativo: i profitti di Wall Street, comunicati a fine febbraio da Thomas Di Napoli, il "garante" dei soldi dei contribuenti di New York. A 27,6 miliardi di dollari i guadagni della borsa americana lo scorso anno sono stati i più alti di sempre, escluso solo il 2009 (il cui dato di 61 miliardi, però, è alterato dai salvataggi di Stato). E se il bonus medio pagato ai dipendenti è diminuito del 9% è solo perché i pagamenti sono stati riequilibrati per essere meglio celati agli occhi della pubblica opinione: difatti il compenso totale medio è aumentato del 6%.Eppure anche le cifre incassate dai principali manager delle banche d’affari – Lloyd Blankfein, il più potente, quello di Goldman Sachs, ha avuto 12,6 milioni di dollari – impallidiscono davanti agli incassi degli speculatori "seri": i gestori degli hedge fund. John Paulson, del Paulson Investment, il fondo speculativo più grosso del mondo, nel 2010 ha guadagnato personalmente 5 miliardi di dollari. Una cifra che l’ingessato Wall Street Journal ha definito «epocale». Tra i suoi colleghi non ci si sorprende: anche gli altri grandi gestori sono riusciti a guadagnare i loro 2-3 miliardi. Tutto merito della speculazione sui mercati non regolati, quello che gli hedge fund sanno fare meglio. Oggi questi fondi gestiscono 1.920 miliardi di dollari, il 20% in più rispetto a un anno fa. È una cifra di poco inferiore al Pil italiano che, a seconda di dove viene indirizzata, segna la rotta economica del pianeta. Almeno fino a quando glielo lasceranno fare.
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