venerdì 16 giugno 2023
Il presidente della Svimez Giannola: Mezzogiorno ghettizzato, serve un piano di rinascita
Adriano Giannola, presidente della Svimez

Adriano Giannola, presidente della Svimez - Stefano Segati

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Il 14 giugno del 1903 nasceva Pasquale Saraceno, economista, protagonista cruciale nell’Italia del dopoguerra e tra i fondatori della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno). Con l’attuale presidente Adriano Giannola parliamo delle sfide per il futuro, che saranno discusse in un convegno il prossimo 21 giugno.

Ha ancora senso l’Associazione?
Credo proprio di sì. In fondo - senza retorica - la Svimez nasce nel 1946 sul presagio-sfida di Mazzini: «L' Italia sarà quello che il Mezzogiorno sarà». Non si tratta dell'adesione a uno slogan, ma piuttosto la conclusione e condivisione di un'analisi che conclude il confronto tra Saraceno (Iri) e Morandi (Fln AltaItlia) nel loro incontro a Milano nel 1945. Una sorta di profezia che, dall' Unità in poi, ha un preciso significato per ben selezionate personalità. Tra le tante illustri: De Viti De Marco, Dorso, Pescatore, Rossi-Doria. La Svimez si fa promotrice di una serie di iniziative con l’obiettivo di ricordare la figura di Pasquale Saraceno, i suoi studi, le realizzazioni, tra le quali: il Codice Camaldoli; il Piano di Primo Aiuto, alla base dell’utilizzo delle risorse del Piano Marshall per la ricostruzione italiana; la nascita della Cassa del Mezzogiorno e il Protocollo sul Mezzogiorno allegato al Trattato di Roma che, avviando l'industrializzazione del Sud, rese competitiva e vincente l'industria del Nord nel Mec. Il tutto per ricordare, in un tempo in cui massima è l’attenzione sui divari territoriali, la sua azione a sostegno dello sviluppo produttivo - non assistenziale - del Mezzogiorno e per valorizzarne la memoria, tutelandola e promuovendola soprattutto verso le giovani generazioni.

In cosa è cambiato il Sud nel bene e nel male rispetto al dopoguerra?
Purtroppo le regioni meridionali vivono e soprattutto “gestiscono” dalla fine degli anni ‘90 una sorta di maledizione e ghettizzazione che le ha confinate nella discutibile logica delle politiche di coesione che ben poco ha a che fare con regole e principi delle politiche di sviluppo. Il Mezzogiorno è vivo, dinamico. Ma appena ci sono segnali di rinascita, chi ha talento è costretto a emigrare altrove per farsi ascoltare e rendersi credibile.

Il Pnrr potrebbe davvero far rinascere le regioni meridionali?
Ci spero purché si abbia saldamente in mente che è un Piano nazionale. Non è solo una questione di risorse, ma di cambio di mentalità. E con questo intendo soprattutto riferirmi al governo centrale, dando per scontato che la qualità delle periferie da sola non sarebbe in grado di modificare la negativa rotta inerziale. A livello decentrato è emerso con chiarezza che i Comuni meridionali fanno molta fatica a presentare progetti in materia di istruzione e mobilità. In parte per una mancanza di tecnici e in parte per una difficoltà ad attrarre investimenti. Eppure è grave che il governo così come Università, Cnr e altri enti ancora che nei loro statuti contemplano come “terza missione” la cura del territorio sembrano ignorare il concetto di sussidiarietà contemplato dagli articoli 118 e 120 della Costituzione. Dovrebbe essere del tutto evidente l'esigenza di una attiva regia del governo centrale che, invece, sfugge alle responsabilità per ritagliarsi - per ideologia?- il semplice ruolo di arbitro.

Di cosa hanno bisogno l’economia e la società meridionale?
Per formare la classe dirigente bisognerebbe tornare al modello Basilicata. Quando negli anni Settanta i funzionari regionali partivano dalla Lucania in direzione Bruxelles per imparare la stesura dei progetti europei, in modo da ottenere i fondi. Occorre recuperare con grande urgenza capacità strategica, logica di sistema e impegnarsi a cambiare rotta. Altrimenti se il Sud non cresce non cresce nemmeno il resto d’Italia.

Su che cosa dovrebbero puntare il governo e gli enti locali: turismo, industria, agricoltura, terziario? Il Sud ha grandi opportunità in tutti i settori specie in questa fase di transizione energetica e digitale. Prima di tutto è necessario che tutto ciò si strutturi in un vero Piano del lavoro in senso produttivo dando così un fondamentale e insostituibile contributo alle possibilità di ripresa del Sistema Paese. Non solo per formare e attrarre talenti. La logistica può giocare un ruolo importante per tutta l’Europa. Con le Autostrade del mare e il Ponte sullo Stretto possiamo giocarci delle carte importanti: ma servono adeguati servizi, attrezzare l'Italia come sistema logistico della Ue.

I giovani meridionali, però, continuano a scappare. Cosa si fa per fermare questa nuova emigrazione?
Ben venga la scelta di formarsi al Nord o all’estero, ma poi dovrebbero esserci le condizioni di poter rientrare e dare il contributo per migliorare la loro terra: non è retorica che il Sud dona il meglio di sé, ma spesso non riceve nulla in cambio. Ecco perché è assolutamente prioritario oggi elaborare una strategia: un Piano di rinascita, non di ripresa e tanto meno di resilienza. Se il Pnrr si ridurrà a una manutenzione di lusso smart e green, l'Italia avrà fallito. A evitare che questo accada soccorre l’esperienza esemplare del “miracolo” degli anni Sessanta. Per la prima volta dall’Unità, si iniziò allora a onorare l’impegno assunto nella Costituzione repubblicana del 1947, scritto a chiare lettere nell'articolo 119. Proprio quell'impegno è stato cancellato nel 2001 dal testo “riformato” del “nuovo” 119.

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