Facebook e Wahtsapp sullo schermo di uno smartphone. Sono due delle app più popolari del mondo (Simon D via Flickr)
A Facebook non dovrebbe sfuggire nulla: grazie ai post e ai commenti dei suoi quasi due miliardi di iscritti il social network ha una inimitabile capacità di sapere quello che sta succedendo nel mondo. Se la gioca solo con Google. Nonostante questo incredibile potenziale di conoscenza dei fatti globali la creatura di Mark Zuckerberg probabilmente non si è accorta che tra gli Stati Uniti e l’Europa è in corso una battaglia politico-economica combattuta a colpi di multe e sanzioni miliardarie contro i campioni industriali delle due sponde dell’Atlantico (chiedere a Apple e Volkswagen per saperne di più). Perché se invece Facebook si è accorta dello scontro degli ultimi mesi e ha tentato di capire quello che sta accadendo allora è stata folle ad andare avanti con quella che potrebbe risultare la decisione più sciagurata della sua storia: chiedere (ma sostanzialmente imporre) agli utenti di Whatsapp, la app di messaggistica che ha comprato nel 2014, di autorizzare la condivisione dei loro dati con Facebook per non specificati servizi.
Questo aggiornamento dei “termini di servizio”, introdotto in agosto, può costarle caro: a Bruxelles la faccenda Whatsapp-Facebook potrebbe diventare il caso scuola per fermare lo scambio incontrollato dei dati privati dei cittadini. Il Gruppo di lavoro ex Articolo 29, l’organismo consultivo che mette insieme i rappresentanti delle autorità di protezione dei dati personali di ogni Stato membro per tutelare la privacy dei cittadini, giovedì ha scritto a Jan Koum, il creatore di Whatsapp, intimandogli di interrompere il passaggio dei dati sensibili nell’attesa che il comitato verifichi se il consenso concesso dagli utenti sia valido o meno. Tema sul quale il gruppo di lavoro «ha serie preoccupazioni». Una lettera simile è stata inviata a Yahoo, ma è chiaro che davanti allo strapotere del social network di Zuckerberg, l’ex re dei motori di ricerca (oggi piuttosto in disgrazia) è un pesce piccolissimo. Difatti Margrethe Vestager, il commissario europeo alla Concorrenza che ha guidato la battaglia sulle tasse che Apple deve pagare alla “generosa” Irlanda, ha già chiesto spiegazioni.
In Italia il Garante della privacy aveva già avviato un’istruttoria a fine settembre, in particolare perché ritiene che gli utenti siano stati sostanzialmente ingannati, perché indotti a credere tramite schermate ben costruite che senza accettare la cessione dei dati a Facebook non avrebbero più potuto usare l’applicazione (cosa che invece è possibile fare). In Germania l’omologa autorità ha cià ordinato a Facebook di lasciare stare quei dati. L’istruttoria europea potrebbe portare a sanzioni a livello comunitario, presumibilmente molto più salate di quelle che potrebbero arrivare da un’indagine analoga negli Stati Uniti, dove la Federal Trade Commission sta valutando le istanze presentate da due associazioni dei consumatori su questo caso.
La questione potrebbe anche crescere ancora non fermandosi alla questione della privacy. In Italia l’Antitrust ha comunicato ieri di avere avviato due procedimenti istruttori nei confronti di Whatsapp perché quel cambiamento dei termini contrattuali potrebbe rappresentare una violazione del Codice del Consumo e potrebbe contenere alcune clausole vessatorie.