Manca solo l’ultimo sì del Senato, che dovrà arrivare entro il 15 aprile per rispettare la scadenza della conversione in legge del decreto governativo. Poi, a quel punto, la riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) sarà definitivamente approvata. Si tratta di un riassetto fondamentale, partito con una proposta di autoriforma elaborata da Federcasse (l’associazione del settore) e che la versione ora all’esame di Palazzo Madama accoglie nei sui punti principali.
Ma che cosa prevede la riforma? E che cosa cambierà per le Banche di credito cooperativo? Anzitutto con il provvedimento nascerà una capogruppo delle Bcc, in forma di Spa, la cui soglia di capitale è fissata a un miliardo di euro. L’adesione dei singoli istituti (attualmente sono 363) a questa holding è la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività come Banca di credito cooperativo.
Le Bcc contrarie all’ingresso nel gruppo unico, per non farne parte, dovranno rispettare alcune caratteristiche e fare una scelta entro 60 giorni dalla conversione. Fino a metà giugno, quindi, potranno sfruttare il meccanismo della way out (via d’uscita) quelle con un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro (da calcolare al 31 dicembre 2015) e di cui pagheranno un 20% come tassa straordinaria allo Stato. Ad avere questi requisiti, sulla carta, sono 14 Bcc. Ma si pensa che saranno molte meno quelle che non aderiranno al progetto unitario. È stato superato pure lo scoglio delle riserve indivisibili: resteranno tali grazie allo scorporo dell'attività bancaria dalla coop. Quest’ultima dovrà comunque cambiare la sua mission sociale, visto che non opererà più nel settore del credito. Infine, è previsto un diritto di recesso dalla holding per chi volesse uscire in un secondo momento. A quel punto, niente più way out: liquidazione o trasformazione in Spa (lasciando ovviamente le riserve). Tertium non datur.
Il collegamento tra la capogruppo e le Bcc aderenti, invece, avverrà attraverso accordi contrattuali denominati “contratti di coesione”, che regolano i poteri della capogruppo su ciascuna singola banca aderente. Poteri che saranno più o meno stringenti a seconda del grado di rischiosità e di buona gestione di ciascun istituto, dunque attraverso un criterio di “meritevolezza”. Il capitale della holding sarà detenuto per il 51% dagli istituti che ne fanno parte. Anche se il ministero dell’Economia – sentita la Banca d’Italia – potrà prevedere in alcuni casi eccezionali che si possa scendere sotto la quota di maggioranza.
Quanto al sistema, la riforma rappresenta una "via italiana" alla cooperazione bancaria nel mutato contesto regolatorio e finanziario europeo. Un modello di integrazione equilibrata - nuovo sia nella forma sia nel metodo - ma con cui si vuole mantenere l’autonomia della originalità mutualistica. E’ proprio questa la sfida: crescere e cambiare - per stare sul mercato da protagonisti -, ma allo stesso tempo rafforzare una biodiversità di banche che sostengono le economie del territorio. La riforma, comunque, avrà il beneficio di riunire quasi tutte le Bcc dentro la stessa “casa”. Così quello cooperativo si appresta a diventare a tutti gli effetti il terzo gruppo bancario del nostro Paese ed il primo per apporto di capitali interamente italiani.