Digitalizzazione, automazione e intelligenza artificiale: le sfide del lavoro - Archivio
Tra circa 20 anni, almeno la metà dei lavori oggi esistenti saranno automatizzati (totalmente o in parte) e milioni di lavoratori (secondo alcune stime 375 milioni di professionisti) saranno costretti a cambiare lavoro a causa dell’impatto che digitalizzazione, automazioni ed intelligenza artificiale avranno. Secondo un recente studio del World Economic Forum, inoltre, questo tema sarà sempre più centrale nei prossimi anni, anche dal punto di vista economico: solo negli Stati Uniti, per esempio, la necessità di riqualificazione dei profili senior costerà oltre 34 miliardi di dollari. In Italia, probabilmente, il quadro è anche peggiore. Il nostro Paese, infatti, può contare tra le forze lavoro più anziane a livello mondiale, dopo Germania e Giappone. Secondo l’Istat, l’età media dei lavoratori del nostroPaese è di 44 anni e aumenta di circa sei mesi ogni anno. Non solo. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale già nel 2022 un quinto degli occupati avrà un’età compresa tra i 55 e i 64 anni e, solo tre anni dopo (e quindi nel 2025), saranno addirittura uno su quattro.
«Se analizziamo i dati – spiega Francesca Contardi, managing director di EasyHunters – ci rendiamo immediatamente conto di quanto la situazione sia seria: molti di coloro che oggi popolano le nostre aziende, hanno iniziato a lavorare quando internet quasi non esisteva e quando l’intelligenza artificiale era presente solo nei libri e nei film di fantascienza. Oggi questi due elementi, invece, sono la realtà quotidiana per tutti noi. Le aziende, quindi, devono necessariamente correre ai ripari e mappare le competenze che hanno al loro interno, avviare campagne di recruiting nel caso fosse necessario ricoprire determinati ruoli e, soprattutto, adeguare nel più breve tempo possibile, le competenze dei loro team. Non è solo una questione legata alla tecnologia, ma è soprattutto una questione di valorizzazione delle risorse umane».
Il futuro del lavoro post Covid-19: la parola chiave è reskilling. Il mondo del lavoro, soprattutto nell’ultimo anno, è notevolmente cambiato e anche i professionisti hanno necessariamente dovuto evolversi per adeguarsi ad un contesto sempre meno stabile. Le aziende sono costrette (e lo saranno sempre più in futuro) a valutare le competenze delle risorse già presenti in azienda e fare in modo che queste siano allineate con le esigenze di business. «Spesso – aggiunge Contardi – il vero problema è legato alle soft skill, ovvero alla capacità di adattarsi al cambiamento e di muoversi efficacemente all’interno del nuovo modo di lavorare. La tecnologia, lo abbiamo visto in questo ultimo anno segnato dall’emergenza Covid-19, ha un duplice ruolo: è certamente un alleato (pensiamo alla possibilità di continuare a lavorare da remoto nonostante le chiusure), ma richiede anche un aumento di competenze per poter sfruttare al meglio le potenzialità e le opportunità che offre. I professionisti over 40 sono, probabilmente, quelli che hanno maggiori difficoltà nel ricollocarsi, perché si trovano in un periodo molto particolare della loro carriera. Ci troviamo di fronte a tantissimi candidati che dopo un anno di sacrifici e di lavoro a distanza si stanno ponendo la domanda se quello che fanno è davvero quello che potranno fare per i prossimi 20 o 30 anni. Sono professionisti, spesso molto qualificati in uno specifico campo, che nel breve dovranno per forza di cose riconvertirsi per restare al passo con le nuove professioni soprattutto in campo informatico e tecnologico.