Un pilastro del ponte di Sabbioncello, lasciato lì dopo l'avvio di un cantiere (presto chiuso) nel 2012
Il ponte di Sabbioncello era l’equivalente croato del nostro ponte sullo Stretto di Messina: un progetto grandioso di cui i politici parlavano per decenni ma che rischiava di rimanere per sempre soltanto un’idea. A differenza del ponte italiano, però, fra qualche anno il ponte croato sarà pronto per essere attraversato. A realizzarlo, entro il 2022, sarà un’azienda controllata dallo Stato cinese, la China Road and Bridge Corporation (Crbc), che a gennaio ha vinto in Croazia la sua prima grande gara all’interno dell’Unione europea, portando la concorrenza a basso costo delle aziende cinesi anche in uno dei mercati che sembravano più facili da proteggere, quello degli appalti pubblici.
Sabbioncello, che in croato si dice Pelješac, è la penisola di quella che tecnicamente è una exclave croata, cioè la Dalmazia meridionale. È il territorio dove si trova Ragusa (Dubrovnik, in croato), isolato dal resto della Croazia da una manciata di chilometri di costa straniera, cioè dall’unico accesso al mare della Bosnia ed Erzegovina, il cosiddetto “corridoio di Neum”. Quei pochi chilometri di separazione costringono le persone che viaggiano da Ragusa verso il Nord del Paese a sottoporsi a due controlli doganali, alle frontiere di ingresso e di uscita dalla Bosnia, paese che non ha ancora ottenuto l’adesione all’Unione Europea. Il ponte di Sabbioncello – 2,4 chilometri a quattro corsie a un’altezza di 55 metri rispetto al livello del mare – collegherà la penisola alla costa croata, evitando il passaggio doganale alle persone e alle merci.
La Commissione europea ha riconosciuto che si tratta di un progetto di interesse europeo, anche nell’ottica dell’ingresso della Croazia nello Spazio Shengen, previsto entro fine 2018. Per questo lo scorso giugno Bruxelles ha stanziato 357,2 milioni di euro dei fondi per la “coesione e la competitività” per la realizzazione del ponte e delle strutture ad esso collegate. Il contributo europeo è essenziale, dato che l’investimento complessivo per la costruzione del ponte e delle infrastrutture ad esso collegate è di 526 milioni di euro.
I fondi europei incassati da Pechino
Il problema è che a incassare quei fondi europei sarà, in definitiva, lo Stato cinese. La Crbc ha stravinto la gara d’appalto internazionale indetta da Hrvartske Ceste, le autostrade croate, che sono le responsabili del progetto e quindi le destinatarie del contributo della Commissione. Per quella gara si erano fatti avanti in tre. Oltre a Crbc c’erano un consorzio italo-turco composto da Astaldi e CT Itcas e poi l’austriaca Strabag. Quando si sono aperte le buste, a gennaio, le aziende europee sono rimaste sbalordite. Strabag si era candidata a fare il ponte per 2,62 miliardi di kune (353 milioni di euro ai cambi attuali), Astaldi e CT Itcas avevano fatto un’offerta migliore, a 2,55 miliardi di kune (343 milioni di euro). I cinesi però si sono accontentati di 2,05 miliardi di kune, cioè 280 milioni di euro. Il 20% in meno della più conveniente delle offerte europee. Il governo croato chiaramente ha scelto loro.
Sia Astaldi che Strabag hanno fatto ricorso contro l’assegnazione dell’appalto, accusando Crbc di fare dumping. L’azienda cinese ha un vantaggio evidente: è controllata direttamente dallo Stato, cioè dalla seconda potenza economica del mondo, che può sussidiarla a volontà e usarla per centrare obiettivi diversi da quelli di un bilancio in equilibrio. La commissione statale croata incaricata di verificare gli appalti pubblici a fine marzo ha respinto entrambi i ricorsi. Nei prossimi giorni i rappresentanti di Crbc saranno a Zagabria per firmare il contratto e avviare i lavori. Ormai da quelle parti sono di casa: l’Est Europa è centrale nella strategia cinese per la realizzazione della nuova via della Seta che punta a realizzare infrastrutture in tutto il mondo per fare della Cina il fulcro dei mercati globali. Crbc sta costruendo strade e ferrovie a prezzi stracciati nei Paesi dell’Est ancora fuori dall’Ue, come la Serbia e il Montenegro, e ha finanziato la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario tra Budapest e Belgrado.
L'Europa si apre, gli altri no
Non era mai successo che un’azienda cinese conquistasse un appalto pubblico di queste dimensioni in un Paese dell’Unione Europea. Per i grandi contractor europei delle costruzioni è un segnale d’allarme: impossibile vincere le gare, se si gioca contro lo Stato Cinese. È un segnale d’allarme anche per Bruxelles, che vede confermata un’altra debolezza nelle sue regole commerciali. Il mercato degli appalti pubblici è enorme, vale più di 1.300 miliardi di euro all’anno a livello mondiale. Questi appalti si portano dietro anche un colossale indotto, che va dalla realizzazione delle materie prime agli stipendi degli addetti (nel caso del ponte di Sabbioncello, per capirci, servono 70mila tonnellate di acciaio e la speranza dei croati è che almeno un terzo dei lavori sia affidato ad aziende locali).
L’Ue si è data regole che aprono il suo mercato dei lavori pubblici alla concorrenza straniera, ma non ha trovato reciprocità. Stati Uniti, Russia, Brazile, Turchia, Cina e molti altri Paesi hanno «introdotto misure protezioniste sugli appalti che danneggiano le aziende europee» conferma la stessa Commissione. La Cina, nello specifico, è entrata nell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) ma ha preferito tenersi fuori dal Gpa, l’accordo che prevede regole eque riguardo gli appalti internazionali. In questo modo non è tenuta ad aprire il suo mercato dei lavoro pubblici ma può approfittare delle aperture dei mercati altrui. Senza correzioni delle regole, i grandi gruppi europei delle costruzioni sono lasciati in balìa della concorrenza straniera. Che sa essere sleale e imbattibile.