giovedì 27 ottobre 2011
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Mario Draghi, alla sua ultima uscita da governatore della Banca d’Italia. La commozione si avverte quando, dopo aver letto le 8 cartelle previste, parla a braccio per dire che dopo 6 anni termina il mandato in una situazione, politica ed economica, «confusa e drammatica, sul piano nazionale e internazionale». E la rabbia (tenuta dentro) dell’ormai prossimo presidente della Bce è perché l’Italia che lascia per volare a Francoforte «non aveva nulla da rimproverarsi», all’inizio della crisi, sulle ragioni che l’hanno prodotta, però «è stata travolta per le sue debolezze strutturali, mai curate, al punto da trovarsi essa stessa ragione della crisi generale».Sono parole chiare e forti, quelle usate all’"ultimo passo" (l’occasione era l’87ª Giornata del risparmio organizzata dall’Acri, con in prima fila il governatore subentrante Ignazio Visco) da Draghi che, per non acuire le tensioni col governo, definisce sempre a braccio la lettera d’intenti che Palazzo Chigi ha spedito ai partner europei «un passo importante, è un piano di riforme organiche». Ma ora, ripete come un mantra, «si tratta di farli» questi interventi, «con rapidità e concretezza», dando «piena attuazione» all’ultima manovra, e perciò esorta a darsi da fare: «Bisogna affidarsi a se stessi per salvarsi in Europa», perché «solo così potremo rifare l’Italia». Non vuol dire, però, che con lui al timone l’Eurotower smetterà di comprare i titoli italiani, anzi Draghi fa capire che per ora continuerà a farlo.Da noi resta in ogni caso l’esigenza di cambiare un sistema ingessato, e qui Draghi dà un paio di ultimi consigli espliciti: a suo avviso occorre «trasferire il peso delle imposte dal lavoro e l’attività produttiva sulla proprietà e sul consumo» (quindi, più Ici, patrimoniale e più Iva) e, nel mercato del lavoro, bisogna costruire «un contratto con protezioni crescenti nel tempo», oltre a «moderni sussidi di disoccupazione». In una sorta di risposta indiretta a quanti, nella maggioranza, se la sono presa per i sorrisi della coppia "Merkozy", ma pure per la lettera della Bce (da lui sottoscritta) in agosto, il governatore-presidente afferma che non serve prendersela con chi indica i problemi: «Anche se le forme possono mortificare, la sostanza dei nodi da sciogliere non dipende da chi la enuncia», argomenta aggiungendo che «è interesse dei singoli Paesi membri riconoscere questa sostanza e non sperare negli altri».Draghi non vuol congedarsi però con troppi toni negativi. Invita, davanti alle nuove misure da prendere, a preoccuparsi di «tutelare le fasce deboli» e, fra queste, cita più volte «i giovani», che rischiano di contribuire di più al risanamento dei conti, a scapito pure del loro risparmio. Ma ricorda anche i «nostri punti di forza». Un piano, questo, sul quale si registra una certa sintonia con Giulio Tremonti: anche per il super-ministro dell’Economia, che parla dopo di lui, occorre «avere un po’ più di fiducia in noi, per noi e tra di noi». A costo di limitare un po’ le continue critiche ai politici, perché in Italia c’è «un problema di classe dirigente» nel suo insieme. Come esempio di fiducia Tremonti addita l’ultima revisione del Pil 2010 che, un po’ in sordina, ha portato alla fine il dato italiano all’1,5%, «uguale alla Francia e superiore alla Gran Bretagna», a dimostrazione (pur premettendo di «non voler sembrare ottimista») che «non esiste un grandissimo differenziale di crescita». Il ministro ripercorre poi la crisi, sostiene che bisogna «riflettere ancora», si sofferma sulla necessità di «un nuovo Trattato europeo» e chiude con una provocazione: «Negli anni del grande declino il reddito in Italia non è salito, ma la ricchezza è cresciuta enormemente». Per Tremonti è «uno dei misteri di questo Paese» che, forse, si spiega con l’evasione fiscale.
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