La sede di Sanofi: è tra le aziende virtuose in Italia - Archivio
L'atteggiamento delle aziende nei confronti della diversità, dell'equità e dell'inclusione sul posto di lavoro sta rapidamente diventando una questione fondamentale per i lavoratori. Uno studio dell’Adp Research Institute ha rilevato che tre quarti (75%) dei dipendenti italiani, prenderebbe in considerazione la possibilità di cercare un nuovo lavoro se scoprisse l'esistenza di un divario retributivo di genere iniquo o l'assenza di una politica di diversità e inclusione nell'azienda. Nella nuova edizione del report emerge come solo il 27% dei lavoratori italiani pensa che la propria azienda sia migliorata nelle politiche inclusive rispetto a tre anni fa: è la cifra più bassa tra gli otto Paesi europei valutati nello studio (la media europea è del 31%), il che significa che è necessario lavorare di più in questa direzione. Dimostrare rispetto per gli altri imparando a usare un linguaggio inclusivo è uno dei modi per vivere il valore dell’inclusività ogni giorno anche sul luogo di lavoro. Le occasioni per usare un linguaggio più inclusivo sono tante, evitando così la terminologia offensiva o superata. Adp, multinazionale americana leader nella gestione del capitale umano, ha sensibilizzato i suoi 58mila dipendenti condividendo una guida a uso interno per suggerire come rendere più inclusivo il linguaggio in azienda. Innanzitutto, dovrebbe essere un linguaggio consapevole del significato culturale, inclusivo rispetto al genere e a supporto della comunità Lgbtq+, e si invita a evitare ovviamente una terminologia basata sul colore della pelle. Molte frasi che usiamo per descrivere concetti o ambiti lavorativi hanno origine in contesti discriminatori o violenti. Per esempio, l’espressione “lavorare come uno schiavo” o peggio ancora “come un negro” è fortemente offensiva, ma è purtroppo usata regolarmente nel mondo del lavoro. Tale espressione fa riferimento al lavoro duro, solitamente manuale, riservato agli uomini di colore che erano obbligati a lavorare sotto il giogo degli uomini bianchi. Occorre eliminare anche il cosiddetto linguaggio “abilista” (per esempio: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” o “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”): l’uso di umorismo o metafore per riferirsi a disabilità, salute mentale o disturbi mentali sminuisce l’esperienza delle persone colpite e di chi li supporta. Anche usare l’ironia per riferirsi all’età delle persone sottintende un trattamento non paritario e/o offensivo nei confronti di chiunque abbia età diverse (per esempio frasi come “sei troppo giovane/vecchio per capire”). Molti termini tecnologici e commerciali fanno purtroppo riferimento al colore della pelle. Questa terminologia spesso attribuisce un significato positivo al bianco o ai colori chiari e un significato negativo al nero o ai colori scuri. Occorre usare il nome del colore solo quando ci si riferisci al colore effettivo; per esempio, invece di usare le parole blacklist o whitelist meglio utilizzare “elenco non autorizzato” o “elenco autorizzato”: ancora oggi la blacklist è un elenco di voci bloccate o non consentite, mentre una whitelist è un elenco di voci consentite o preferite. Il gergo aziendale include molte frasi di uso comune che sminuiscono le tradizioni culturali. Pensiamo a quante volte utilizziamo la parola “desaparecido” per indicare qualcuno che non riusciamo a trovare. L’espressione desaparecidos (letteralmente “scomparsi”) si riferisce alle persone che furono arrestate per motivi politici, o anche semplicemente accusate di avere compiuto attività “anti governative” dalla polizia dei regimi militari argentino, cileno e di altri paesi dell’America latina, delle quali si persero in seguito le tracce. Usare espressioni che enfatizzano con connotazione negativa o stereotipata la provenienza geografica sottintende un trattamento non paritario e/o offensivo nei confronti dell’altra persona. Invece di usare espressioni come “meridionale”, “montanaro”, “provinciale”, ecc. si può utilizzare un linguaggio alternativo per esprimere cosa si vuole intendere. Evitare di utilizzare appellativi di genere che sottintendono ironia in accezione negativa nei confronti dei relativi destinatari (per esempio: dire a una persona “sei una femminuccia”, “sei un maschiaccio”). Utilizzare espressioni ironiche che fanno riferimento a stereotipi di genere per sottolineare le caratteristiche comportamentali delle persone contribuisce sia a perpetuarli sia a trasformare lo stereotipo in una forma di pregiudizio. Invece di usare espressioni fortemente legate al genere per indicare caratteristiche o azioni altrui (come per esempio “avere gli attributi”, “portare i pantaloni” eccetera) sostituirle con altra terminologia neutra che spieghi allo stesso modo cosa intendiamo (ad esempio “persona che dimostra determinazione” o “persona che prende le decisioni” eccetera). Definire le caratteristiche o il comportamento di una persona utilizzando espressioni legate a stereotipi di genere non è inclusivo e può sottintendere una disparità tra i generi e alimentare una cultura patriarcale ormai superata.
Le regole per la certificazione della parità di genere
Come si è evoluta la normativa per favorire l’inclusione di donne, giovani e disabili sui luoghi di lavoro? Qual è l’impatto che l’esclusione lavorativa genera sul terreno della salute e della sicurezza, a partire dai rischi bio-psico-sociali? E come possono le politiche di welfare aziendale favorire l’inclusione? A queste domande si impegna a rispondere il nuovo volume Diversità e inclusione. Le regole per la certificazione della parità di genere di Ciro Cafiero edito da Giuffrè Francis Lefebvre. La certificazione per la parità di genere è stata introdotta dalla legge n. 162 del 2021. Segue le Linee Guida Uni/PdR 125:2022, con benefici che derivano per le organizzazioni che la conseguono: decontribuzione, premialità negli appalti pubblici, riduzione della relativa garanzia fideiussoria, ma anche crescita reputazionale. Attraverso alcuni parametri da rispettare è possibile ottenere la certificazione. Diversi i criteri da utilizzare per la misurazione, rendicontazione e valutazione dei dati. Alcuni strumenti di welfare aziendale, come il lavoro agile, ma anche le politiche di assunzione e di gestione di maternità e paternità, sono fondamentali per favorire un miglior equilibrio tra vita privata e professionale e, di conseguenza, una maggior inclusività. «Le politiche di inclusione attendono di vivere un nuovo corso. I suoi punti di forza sono due - spiega l’autore del volume -. Primo: la legge, contro un protagonismo solitario, ma deve cedere più margini alle comunità aziendali e territoriali: esse sono le uniche in grado di decifrare i bisogni dei lavoratori e delle persone. È il modello della certificazione per la parità di genere. Secondo: maggiore tutela delle diversità su impulso della legge che deve porsi l’obiettivo di essere, in senso costituzionalmente orientato, meno omologatrice, generale, astratta. Si tratta di una strada difficile, ma percorribile. È così che le diversità potranno scomparire dagli occhi degli uomini».
Le buone pratiche
Sanofi ha ottenuto la certificazione nazionale sulla parità di genere. Un riconoscimento fortemente voluto dall’azienda che conferma l’impegno costante nella promozione di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle pari opportunità. Rilasciata dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, attesta che Sanofi ha adottato politiche e pratiche aziendali che garantiscono la parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne in tutti gli aspetti fondamentali: dall'occupazione alla selezione del personale, dalla formazione alla crescita professionale fino alla retribuzione e alle possibilità di carriera. La certificazione – rilasciata dall’ente certificatore Rina Spa - è un altro passo che Sanofi ha scelto di fare con concretezza e determinazione per il raggiungimento della parità e, sancisce un ulteriore traguardo nella realizzazione di una cultura aziendale attenta alle diversità. Questo in sinergia con la politica globale dell’azienda che implementa nuove misure per promuovere un cambiamento sempre più significativo come il progetto che garantirà l’equilibrio di genere tra donne e uomini per i senior leader entro il 2025, il sostegno all'emancipazione economica femminile anche fuori dal luogo di lavoro o il congedo parentale neutro al genere. In Sanofi pari opportunità e inclusione sono quindi una realtà concreta. Tra le prime aziende ad essere certificata in Italia già nel 2019 con il “Bollino Rosa” dal Winning Women Institute per le sue politiche di genere, l’azienda continua oggi con progetti di sensibilizzazione e coinvolgimento dei dipendenti concreti e mirati al superamento di ogni stereotipo. Al centro la formazione con sessioni di leadership per più di 500 donne e programmi di mentoring per le più giovani. Dei suoi 1.870 dipendenti il 45% è donna, una percentuale che sfiora il 60% nelle funzioni di supporto e nei neo-assunti sotto i 35 anni. I ruoli manageriali sono per il 50% “al femminile”; oltre la metà delle assunzioni dell’ultimo anno (57%) è rappresentato da donne, così come il 50% delle promozioni. Sanofi è inoltre tra le prime aziende ad aver esteso a 14 le settimane di congedo parentale retribuito per nascita o adozione, ad aver concesso permessi integrativi a supporto della genitorialità e dell’assistenza a familiari non autosufficienti. Anche Groupama Assicurazioni continua a puntare sulle persone e conferma il suo impegno per la promozione dell’inclusività e del rispetto della diversità in azienda, con nuovi progetti avviati negli ultimi mesi. Tra questi uno “sportello” dedicato all’orientamento dei dipendenti in tema di disabilità e un nuovo sito web volto a migliorare l’accessibilità online per chi ha difficoltà visive, motorie o cognitive. Diversità e inclusione sono infatti due valori imprescindibili per la compagnia che punta a creare un circolo virtuoso in grado di contrastare una tendenza negativo piuttosto diffuso nel nostro Paese: secondo l'Istat, in Italia sono circa 2,8 milioni (il 10,7% del totale) le famiglie che hanno un componente con disabilità; eppure sei aziende su dieci non hanno ancora definito un piano per supportarle e due su dieci non pensano sia importante farlo. In Groupama l’accessibilità digitale è e sarà un progetto in continua evoluzione. È lo strumento con cui la compagnia si avvicina ai suoi utenti permettendo a tutti di navigare sui suoi siti, senza alcun tipo di barriera. La prima azione concreta di questa trasformazione inclusiva è stata l'adozione di un widget basato su AI che permette di offrire la migliore esperienza di navigazione anche a chi ha difficoltà visive, motorie o cognitive, migliorando l’accessibilità del sito e dei nostri preventivatori online. Un passo in avanti importante: nel nostro Paese, infatti, il 98% dei siti internet non sono accessibili alle persone con qualche forma di disabilità (sensoriale, motoria, cognitiva o psichica), ovvero a circa il 20% della popolazione italiana. Ciascun utente, cliccando sull’icona blu presente sul sito groupama.it potrà accedere ad oltre 50 opzioni personalizzabili, grazie alle quali potrà modificarne il layout in base alle proprie esigenze di accessibilità. Queste iniziative rappresentano un ulteriore tassello dell’ampio percorso intrapreso negli anni da Groupama per rafforzare la cultura aziendale sui temi della Diversity Equity & Inclusion. Ne sono esempio la partecipazione annuale al Dive In Festival, un movimento globale del settore assicurativo a favore dello sviluppo di una cultura e un ambiente di lavoro inclusivi e l’adesione al Manifesto di Valore D, la prima associazione di imprese in Italia impegnata per la parità di genere e che tramite lo strumento Inclusion impact index, monitora l’andamento ed efficacia di tali politiche. Attivo da sei anni, nel 2022 l’index ha valutato positivamente il grande impegno della Compagnia: con un punteggio complessivo pari a 75.6/100, Groupama si è posizionata tra le aziende maggiormente attrattive nella valorizzazione dei talenti femminili, con picchi nell’ambito del retainment (punteggio di 90.3/100) e nello sviluppo (95.2/100). Infine l’Agenzia per il lavoro Lavoropiù fa un passo avanti sui temi dell’inclusione femminile e della parità di genere, attraverso l’attestazione internazionale Iso 30415:2021 Diversity & Inclusion Management e la certificazione italiana Uni Pdr 125/22 sulla parità di genere. Le due certificazioni testimoniano l’impegno di Lavoropiù da molti anni sui temi della sostenibilità, parità di genere e inclusione delle diversità. L’Agenzia per il lavoro, infatti, porta avanti da tempo progetti concreti per l’inclusione femminile sul territorio, collaborando con Università e istituzioni. Tra questi, c’è il progetto Nice 2 neet her!, nato nel 2020, che organizza laboratori per riqualificare le donne disoccupate e fornire loro nuove opportunità professionali presso le imprese del loro territorio. La norma Iso 30415:2021, creata nel 2021, ha valenza internazionale e ha come fine quello di promuovere la diversità e l'inclusione sul posto di lavoro. Essa viene rilasciata sulla base di un processo di verifica di requisiti trasparenti e misurabili nel campo dell’uguaglianza di genere, del lavoro dignitoso e della riduzione delle disuguaglianze e, nel caso di Lavoropiù, è stata rilasciata dall’organismo di certificazione Kiwa. La norma Uni/Pdr 125:2022 è invece una prassi di riferimento con cui l'Uni-Ente italiano di normazione ha inteso fornire una linea guida per la promozione della parità di genere sul luogo di lavoro. Essa chiede l’individuazione e l’eliminazione delle disuguaglianze attraverso il coinvolgimento delle risorse umane e delle parti interessate e con la predisposizione di politiche proattive e sistemi di controllo periodici.
McDonald's apre un nuovo ristorante e cerca 50 persone
Sono aperte le selezioni on line per individuare i candidati che parteciperanno alla tappa di Fiano Romano del McDonald’s Job Tour che si terrà nella prima metà di luglio. L’evento itinerante di selezione del personale è organizzato per le nuove aperture e le assunzioni su tutto il territorio italiano. Voglia di mettersi in gioco, di lavorare in squadra e a contatto con i clienti: queste sono alcune delle principali caratteristiche che l’azienda ricerca nelle persone che lavorano nei suoi ristoranti. McDonald’s offre un’opportunità di lavoro concreta, grazie a contratti stabili (che rappresentano il 92% del totale) e possibilità di crescita professionale rapida, grazie a un programma di formazione strutturato. Entrare in McDonald’s significa lavorare in un contesto dalla forte identità di gruppo, giovane, inclusivo e meritocratico, capace di garantire a tutti i dipendenti le medesime opportunità. Entro l’11 luglio, i candidati interessati a lavorare per il nuovo ristorante potranno partecipare alla prima fase di selezione sul sito McDonalds.it rispondendo a un questionario e inserendo il proprio cv. Ai candidati idonei verrà richiesta la compilazione di un test volto a individuare i loro punti di forza. Coloro che supereranno il test riceveranno dall’azienda una convocazione con data e orario per partecipare alla tappa del McDonald’s Job Tour, dove avranno accesso ai colloqui individuali. L’evento sarà l’occasione per i candidati di raccogliere informazioni sull’azienda e sul lavoro in McDonald’s, direttamente da chi vi è coinvolto in prima linea: saranno infatti presenti presone che lavorano nei ristoranti della zona che racconteranno e condivideranno la propria esperienza.