Nella top ten dei comparti produttivi del Paese. È la creatività made in Italy, l’italico genio. Una dote forse ereditaria, ma sicuramente a lungo sperperata, che finalmente sta cominciando a fruttare. Tanto da rappresentare con 47,9 miliardi di euro prodotti nel 2015 il 2,96% del Pil, con un tasso di crescita rispetto all’anno precedente del 2,4% (a fronte di un aumento del Prodotto interno lordo dell’1,5%). Ma tutto ciò con un valore aggiunto sociale che fa la differenza: la cultura. Si tratta, appunto, dell’industria culturale e della creatività, il terzo settore del Paese per numero di occupati, dopo alberghiero-ristorazione e costruzioni, con più di un milione di persone impiegate, circa il 4,6% della forza lavoro, di cui l’86% nelle attività economiche dirette.
Occupati che potrebbero essere molti di più (arrivando a 1,6 milioni), così come ben superiore sarebbe il potenziale valore prodotto, stimato in 72 miliardi di euro. Se non fosse che due tentacolari minacce sottraggono ogni anno enormi risorse economiche: la pirateria e il value gap. Gli stessi nemici 'schedati' anche un anno fa dal pre- cedente rapporto, sempre di Ernst& Young, Italia creativa - L’Italia che crea, crea valore. Nemici contro cui la Commissione europea sta lavorando a una legge di riforma del diritto d’autore da sottoporre presto al Parlamento europeo. «Una legge che ci vede in prima fila assieme a Francia e Spagna – dice il ministro dei Beni e delle Attività culturali, Dario Franceschini –, che non è però così condivisa da tutti i Paesi membri. Ma non c’è soltanto l’aspetto normativo, bisogna far capire soprattutto ai più giovani che piratare non solo è illegale ma toglie risorse legittime a chi crea, all’autore preferito di ciascuno. Per questo stiamo pensando con il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli a una campagna nelle scuole».
E se la pirateria costa all’industria culturale e creativa un valore che è quantificabile tra i 4,6 e gli 8,1 miliardi di euro, l’altro nodo cruciale è il value gap, il divario tra quanto viene generato dai contenuti creativi in rete e quanto viene effettivamente riconosciuto dagli intermediari tecnici (motori di ricerca, aggregatori di contenuti, social network, servizio cloud pubblico e privato) ai creatori di questi stessi contenuti, che EY ha quantificato in circa 200 milioni di euro. Filippo Sugar evoca madre natura per spiegarlo. «Una parte di ecosistema – dice il presidente della Siae alla presentazione del rapporto alla Triennale di Milano – usa i contenuti, le risorse creative, senza remunerarli. È un suicidio per tutta l’industria culturale. Se realtà come Google e Facebook riconoscessero i diritti d’autore avremmo enormi risorse da reinvestire in questo ecosistema». E così 26 associazioni di categoria hanno consegnato a Franceschini una lettera indirizzata a governo e parlamento chiedendo più sinergie perché si porti avanti la lotta per la tutela del copyright a partire dalla direttiva europea in discussione. «Negli ultimi dieci anni abbiamo dovuto fare i conti con due fenomeni, la globalizzazione e le nuove tecnologie digitali – interviene il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri –. Ma le leggi che si applicano a realtà come Google e Facebook sono ancora quelle che regolano l’e-commerce, come se facessero elettrodomestici. Noi con le nostre televisioni abbiamo 22mila occupati, loro non più di 300. Però usano i nostri contenuti. Il prodotto si paga, bisogna insegnarlo a partire dalla scuola».
Lo storico sodale di Silvio Berlusconi approfitta poi della presenza di Franceschini (lodato con esemplare fair play per le leggi e le riforme realizzate) per «ringraziare governo, parlamento, giornali e opinione pubblica per averci difesi, ma questo è un caso raro» dall’attacco di Vivendi. EY sottolinea poi che tutti i settori sono cresciuti tranne quello di quotidiani e periodici, con un calo di poco superiore all’8%, mentre la musica ha avuto un +10%. «Il digitale ha risollevato le sorti della discografia» dice Enzo Mazza, Ceo della Fimi, sottolineando come altri (dal musicista Manuel Agnelli alla vice presidente di Confindustria Antonella Mansi, dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana all’Ad di EY Donato Iacovone) quanto il digitale sia una grande opportunità e tutt’altro che una minaccia. L’importante è giocare «non in difesa ma all’attacco » esorta Franceschini. Iniziando a vedere l’Europa «come un’occasione, soprattutto dopo la Brexit» e ragionando come «un mercato integrato, il più forte produttore di contenuti creativi al mondo».