Retribuzioni più alte previste dalla contrattazione per i lavoratori (circa il 15% a regime), ma che rischiano di diventare insostenibili a causa del mancato aggiornamento delle tariffe della Pubblica Amministrazione per i servizi di welfare erogati dalle cooperative.
È un cortocircuito che rischia di avere effetti devastanti sulle realtà sociali, sul personale occupato e, a cascata, su un sistema nazionale già in sofferenza. A lanciare l’allarme è Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà, che chiede soluzioni urgenti per far sì che ognuno sia in grado di fare la propria parte e di veder garantiti i rispettivi diritti: «Per i lavoratori un giusto riconoscimento economico; per le cooperative rette e appalti pubblici adeguati; per le comunità risposte assistenziali, di cura ed educative in linea con le richieste e i bisogni».
Andiamo con ordine. Lo scorso gennaio è stata raggiunta un’intesa sul contratto della cooperazione sociale che interessa 400.000 lavoratori. Si tratta di un accordo poi confermato dalle consultazioni successive dei lavoratori e delle coop e che prevede, tra i punti principali, aumenti progressivi fino ad arrivare a regime a 120 euro mensili in più al livello C1 (da riparametrare per gli altri livelli contrattuali); dal gennaio 2025 l’introduzione della quattordicesima mensilità al 50%; l’innalzamento dell’importo per la sanità integrativa che raggiunge i 120 euro annui; l’estensione al 100% dell’integrazione economica della maternità.
Il rinnovo è stato accolto con soddisfazione sia dai datori di lavoro sia dai sindacati, nella consapevolezza dell’importanza di sostenere un settore essenziale (come si è visto nella lunga fase pandemica) e sempre più strategico, alla luce della crescita delle diseguaglianze e dell’allargamento delle fragilità nel Paese.
Il nuovo contratto collettivo di settore è già operativo da qualche settimana. Ma il punto è che, senza un rapido adeguamento alle tariffe nei bandi pubblici, in grado di “coprire” almeno gli aumenti previsti per legge (+15%), migliaia di cooperative saranno in affanno a far quadrare i conti. La sopravvivenza di tante realtà del settore è in pericolo e c’è un enorme problema di carenza di manodopera da affrontare. «Secondo le nostre stime è a rischio fuga il 10% degli occupati, circa 40mila lavoratori, con inevitabili ripercussioni sulle prestazioni essenziali di 7 milioni di persone – afferma Granata –. Già negli anni scorsi abbiamo assistito a un massiccio esodo degli operatori verso ambiti lavorativi in grado di garantire la loro sopravvivenza economica. Tale migrazione adesso rischia di proseguire con numeri ancor più dirompenti».
Per arrestare l’emorragia delle migliori risorse umane verso altri settori ed evitare di mettere in ginocchio la cooperazione sociale, servirebbe anzitutto una svolta “culturale” da parte del pubblico. «Negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione, seguendo esclusivamente la logica del contenimento dei costi, non ha fatto altro che abbassare l’asticella della qualità dei servizi ai fragili – sottolinea Granata –. Quando un Comune fa una gara d’appalto per la costruzione di un ponte o per il rifacimento di una strada assegna il lavoro “a corpo”, cioè tenendo conto del costo umano, del prezzo dei materiali e del margine per la ditta. Mentre nel sistema di assegnazione dei servizi sociosanitari e assistenziali si ragiona solo sul costo orario della persona, come se dietro non ci fossero un’organizzazione aziendale, un coordinamento e una sicurezza da garantire. Ecco perché serve anzitutto un netto cambio di mentalità che riconosca il valore del lavoro sociale».
Stefano Granata - Imagoeconomica
Del resto, sono le sfide del futuro a imporre un cambiamento: «Di fronte al crollo demografico, il conseguente invecchiamento della popolazione e il continuo aumento delle richieste dei servizi assistenziali non dovrebbero esserci alternative al riconoscimento del ruolo cruciale che svolge il Terzo Settore per la tenuta del Paese».
Concretamente come è possibile risolvere il nodo dell’aggiornamento delle tariffe? «Ci sono due ambiti su cui agire: per gli appalti regionali (anche attraverso la Conferenza Stato-Regioni) dovrebbe essere più semplice trovare un’omogeneità di sistema che valorizzi la portata di interesse generale dei servizi erogati, mentre la questione si complica quando si lavora con le singole amministrazioni comunali, perché il nuovo codice degli appalti apre a una revisione dei prezzi, ma bisognerebbe agire sul piano normativo per esplicitare maggiormente che nelle gare d’appalto le tariffe vanno adeguate obbligatoriamente e in modo automatico ai rinnovi dei contratti». Secondo Granata, finora i margini di guadagno per le cooperative erano già bassissimi, ma adesso rischiano di diventare «inesistenti».
Le prime a voler garantire il rispetto del contratto di lavoro sono proprio le cooperative. In chiave di lotta alle false coop e al dumping salariale, è stato costituito un Osservatorio paritetico tra tutti i firmatari del Ccnl sugli appalti (sindacati compresi) per monitorare e vigilare sulla regolarità di bandi e contratti. «Ora il tema della valorizzazione del lavoro sociale deve però entrare al centro del dibattito politico», auspica il presidente di Confcooperative Federsolidarietà. In assenza di soluzioni rapide, risposte efficaci e appalti adeguati, le cooperative sociali potrebbero essere “costrette” a lavorare sempre meno con il pubblico per rivolgersi al privato: «Sempre più cooperative si stanno interrogando sulla convenienza o meno di partecipare ai bandi regionali e comunali, per cui il rischio c’è – ammette Granata –. Strategicamente è positivo non avere una dipendenza totale dal pubblico, ma bisogna stare attenti a non tirare troppo la corda e arrivare a spezzare quel rapporto stretto che lega lo Stato e la cooperazione sociale e su cui si basa il nostro sistema di welfare».