Arrivano soprattutto dall’Estremo Oriente, hanno grandi capitali e apprezzano da sempre il <+corsivo>made in Italy<+tondo>. Nuovi capitani d’impresa si affacciano in Italia, complici i tempi drammatici della recessione. Sono cinesi, giapponesi, arabi, americani. È un primo segnale di svolta quello che si legge nell’analisi svolta da Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti controllata dal ministero del Tesoro: nei primi tre mesi del 2012 sono state 33 le richieste di investimento arrivate al governo, contro le 27 del secondo semestre 2011. «Il trend è decisamente cambiato – spiega l’agenzia – e la percentuale di imprese straniere disponibili a insediarsi in Italia è più che raddoppiata».Dubbi e occasioniAttenzione: il panorama industriale resta negativo e «i rischi di una "desertificazione" di tipo francese permangono – spiega l’economista Carlo Scarpa –. Però è vero che un momento come questo non torna più: si compra a prezzi di saldo e ci si può assicurare per anni il nostro <+corsivo>know how<+tondo>. Un affare per loro e una prospettiva obbligata per noi. Ci dovremo abituare». Negli stessi giorni in cui Confindustria presentava una ricerca McKinsey che indicava l’Italia come la «maglia nera» dell’Ue per gli investimenti in arrivo dall’estero, il colosso svedese Ikea ufficializzava di voler localizzare nel Bel Paese, e non in Cina, la produzione di mobili. Decisivi i nostri fornitori, dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia, apprezzati per la qualità e l’innovazione. Poi ci sono settori che, vista la corsa inarrestabile della globalizzazione, sono all’improvviso diventati strategici: la logistica, ad esempio, così come le costruzioni, i macchinari e le energie rinnovabili. «Bisogna vedere l’ottica in cui le multinazionali asiatiche e americane si muovono, ma il problema resta la domanda interna molto bassa» aggiunge Scarpa.Se il territorio «chiama»Nel Lodigiano, a Somaglia, un colosso mondiale nella fornitura di servizi per la produzione di componenti elettronici, Flextronics, ha appena assunto 100 persone: il 70% è rappresentato da operai ad alta specializzazione, il restante 30% da impiegati, ingegneri e manager. Sono bastati tre mesi al team internazionale inviato da Singapore, dove ha sede legale la multinazionale, per capire che "l’operazione Italia" si poteva fare: perché il territorio aveva appena perso un’occasione con l’uscita di un altro gruppo, la Unilever, e non chiedeva altro che un’opportunità per ripartire; perché il personale aveva superato il periodo di prova con risultati decisamente migliori rispetto a colleghi "testati" nel resto d’Europa; perché, in fondo, neppure la burocrazia rappresentava un ostacolo insormontabile. Detto fatto: l’impegno assicurato dalla Provincia di Lodi per favorire prima l’insediamento nel sito produttivo e poi la selezione della forza lavoro (attraverso il Dipartimento provinciale dell’occupazione e dei servizi per i giovani) ha agevolato la nascita di un nuovo polo produttivo, tanto che secondo John Scanlan, vicepresidente di Flextronics Global Services Emea, «noi prevediamo un grande sviluppo delle attività italiane e siamo convinti di poter dare un contributo positivo per lo sviluppo sociale ed economico di quest’area».
Strategie e ostacoliIn realtà, le strategie dei gruppi che dall’estero provano a sbarcare in Italia sono diverse: c’è chi si muove in totale autonomia, forte del <+corsivo>brand<+tondo> riconosciuto a livello internazionale, c’è chi cerca un supporto nelle istituzioni italiane e infine chi prova a cogliere le occasioni, oggi particolarmente vantaggiose visti i valori economici in gioco. Poi c’è il fattore liquidità: chi ha soldi <+corsivo>cash<+tondo>, vince. Il colosso cinese Zoomlion ha recentemente acquisito l’italiana Cifa, leader nel settore dei macchinari per l’industria del calcestruzzo, per un corrispettivo stimato tra i 300-400 milioni di euro. È stata la seconda operazione più consistente mai avvenuta in Europa. Lo stesso vale per società come Huawei e Haier. La scelta delle aree territoriali? Per chi arriva da Pechino e Shanghai, la Lombardia resta una regione dal forte appeal. Nei primi tre mesi, delle 33 richieste presentate da gruppi esteri in Italia, 9 sono giapponesi e 7 cinesi, ma la novità arriva dalla presenza degli Emirati Arabi (2 domande) e dall’Egitto (1) segno che il flusso di denaro non è un’esclusiva dell’Estremo Oriente. Resta l’elenco annoso dei problemi irrisolti. Il primo? Sembra paradossale, ma è quello di garantire un permesso di soggiorno ai giovani manager nipponici e cinesi che studiano il dossier Italia. La trafila è lunga prima, durante e dopo la missione in terra italica. Il nodo dei rapporti con le amministrazioni per le autorizzazioni a eventuali piani industriali viene di conseguenza. Su tutto regna una grande incertezza legata ai tempi della giustizia amministrativa. Non si sa come venire a capo delle pratiche e degli iter avviati negli uffici pubblici. Eppur si investe lo stesso...