Un supporto concreto a chi è in difficoltà e non riesce a trovare sostegno in un welfare pubblico sempre più carente: è quello offerto dalle Fondazioni bancarie, che con la loro attività dimostrano come la finanza possa contribuire positivamente allo sviluppo della società. Se ne è discusso al convegno «La fondazione bancaria tra finanza e impegno sociale», organizzato da Aiaf, l’associazione italiana degli analisti e consulenti finanziari, il 9 novembre a Milano. «Negli ultimi 15-20 anni le Fondazioni si sono sostituite all’attività di welfare dello Stato in vari contesti, in ambito sociale ma anche nel campo della cultura e dell’educazione», ha spiegato Stefano Lucchini, responsabile affari istituzionali di Intesa Sanpaolo, mentre Alberto Borgia, presidente di Aiaf, ha posto l’accento sull’impegno delle fondazioni per «la cultura finanziaria delle giovani generazioni».I numeri tracciano un quadro preciso dell’importanza del ruolo delle fondazioni bancarie nel contesto socioeconomico italiano. Nate come soggetti non profit, privati e autonomi, sono state istituite con la legge Amato nel 1990 e fino al 1994 avevano l’obbligo di mantenere il controllo della maggioranza del capitale sociale delle casse di risparmio da cui avevano avuto origine: obbligo eliminato dalla riforma Ciampi del 1998-99, che anzi stabiliva, all’opposto, la graduale perdita di controllo. Attualmente le fondazioni di origine bancaria sono 88, di cui 35 non detengono più alcuna partecipazione nella banca originaria e solo 6, di dimensioni più piccole, mantengono quote di maggioranza. Nel 2017 il loro attivo era di 46,1 miliardi di euro e le loro erogazioni hanno sfiorato il miliardo (984,6 milioni) per 19.860 interventi su varie aree, dall’arte alla famiglia, dalla filantropia all’ambiente. In particolare l’erogazione per il welfare (assistenza sociale, salute pubblica, volontariato) è stata di 297 milioni di euro, a cui vanno sommati 120 milioni dedicati da 73 fondazioni al fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, per un totale di 417 milioni.Cifre che danno l’idea dell’entità dell’apporto delle fondazioni, in un contesto in cui, come ha ricordato il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, «la coesione e l’inclusione sociale sono temi rilevanti». Le previsioni per l’economia italiana «sono abbastanza buone, con solidi fondamentali e una crescita del Pil di circa l’1% sia per quest’anno sia per il 2019». Tuttavia «l’Italia non riesce ad agganciare il ritmo di crescita medio di altri Paesi, in particolare della Germania. Lo spread non è solo quello tra Btp e Bund: esisto forti divergenze sul fronte degli investimenti, specie quelli in ricerca e sviluppo, e della produttività. C’è poi uno "spread interno", quello delle competenze: le imprese cercano professionalità specifiche, come quelle dei laureati in materie scientifiche, e non le trovano». Per De Felice «c’è un forte legame tra qualità del sistema educativo, mobilità sociale e crescita economica; inoltre, in Italia abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile - che supera il 30% - e un tasso di occupazione femminile - poco sotto il 50% - non accettabili. Se il tasso di occupazione femminile salisse al 60% produrrebbe un incremento del Pil pari al 9%. In un momento in cui il bilancio pubblico deve fare i conti con i vincoli sulla disponibilità delle risorse, le fondazioni bancarie possono offrire un contributo importante alla risoluzione di quelle questioni aperte che impediscono al nostro Paese di agganciare finalmente un trend di crescita equilibrata, sostenibile e inclusiva».Passato, presente e futuro delle fondazioni bancarie sono stati al centro del lungo intervento di Giuseppe Guzzetti, presidente di Acri e di Fondazione Cariplo. «Nate nel momento in cui lo stato sociale andava in crisi» in questi anni le fondazioni, attraverso i vari passaggi legislativi che le hanno riguardate, hanno stabilito le caratteristiche fondamentali della loro attività, tra cui la diversificazione, con il divieto di destinare più di un terzo del patrimonio a un singolo investimento, e il no agli investimenti speculativi. Fortemente radicate sul territorio, le fondazioni bancarie «sostengono i tanti operatori del sociale che l’Italia ha la fortuna di avere» e possono effettuare «investimenti con un rendimento minore rispetto a quelli "normali", che però abbiano un impatto positivo sulla società, come ad esempio l’edilizia sociale. «Oggi mancano risorse per le persone più fragili, come gli anziani, i disabili, i Neet, gli immigrati che vogliono inserirsi; esiste in Italia la povertà familiare e la povertà infantile». «Oggi mancano risorse per le persone più fragili, come gli anziani, i disabili, i Neet, gli immigrati che vogliono inserirsi; esiste in Italia la povertà familiare e la povertà infantile», ha ricordato Guzzetti. Alla soluzione di questi problemi è dedicata l’azione delle fondazioni bancarie, «soggetti che non si limitano alla sussidiarietà, ma valicano tante volte il confine, sapendo che non si possono lasciare i bisogni senza risposta».
Negli ultimi 20 anni le Fondazioni di origine bancaria si sono affiancate allo stato per provvedere ai bisogni sociali, educativi e culturali
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