La promessa di un allargamento del budget di 400 miliardi di dollari in fondi federali destinato alla transizione verso sistemi energetici puliti, con la possibilità di destinare altri 300 miliardi di dollari alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, è stato il primo segnale. Seguito dalla scelta caduta su Brian Deese quale capo del consiglio economico nazionale. Si tratta di due indicatori importanti riguardo alla futura politica di Joe Biden nei confronti dell’industria automobilistica americana. Deese infatti, esperto di clima e sostenitore delle istanze ecologiste, è stato in passato vice consigliere economico di Barack Obama che aiutò in particolare proprio nel salvataggio del settore dell'industria dell'auto dopo la crisi del 2007-2008. Ma la probabile inversione di marcia del nuovo presidente statunitense rispetto alle scelte imposte da Trump negli ultimi quattro anni, in particolare sul tema della mobilità elettrica, potrebbe essere meno scontata di quanto ci si attenda.
L'appoggio promesso da Biden alle Case automobilistiche statunitensi che intendono costruire veicoli elettrici potrebbe infatti trasformarsi in un problema, perché sindacati e lavoratori che lo hanno sostenuto – come ha sottolineato nei giorni scorsi il quotidiano Detroit News – cominciano a temere che la incombente transizione verso i modelli a batteria costi molti posti di lavoro nell'industria. Durante un incontro virtuale con le imprese e i leader sindacali, alla presenza di Mary Barra Ceo di GM e di Rory Gamble, presidente della United Auto Workers, Biden ha ribadito la promessa di ingenti investimenti per sostenere nuove tecnologie green, e per creare fino a un milione di posti di lavoro nella produzione di veicoli elettrici. Il neo presidente ha anche parlato di finanziamenti per le nuove infrastrutture necessarie al passaggio all'elettrico, compresi piani per costruire stazioni di ricarica, investire nello sviluppo e incentivare i consumatori ad acquistare modelli a batteria. Ma diversi analisti sostengono che Biden e il suo team non abbiano compreso appieno le conseguenze della svolta elettrica, primo fra tutti il fatto che produrre questo tipo di vetture – più “semplici” e con meno componentistica - comporta una netta diminuzione della forza lavoro rispetto a quella necessaria per costruire le auto tradizionali.
Ad oggi inoltre, gli acquirenti in Usa stanno dimostrando ancora una chiara e anzi crescente preferenza per pick-up e Suv alimentati dalla benzina, una fonte energetica che ha attualmente il prezzo più basso degli ultimi anni. Ad oggi i modelli completamente elettrici rappresentano meno del 2% delle vendite negli Stati Uniti. Nonostante questa piccola quota di mercato, e nonostante l'alterno atteggiamento dell'amministrazione centrale sui crediti fiscali federali creati per incentivare le vendite di vetture elettriche, le Case automobilistiche di Detroit stanno scommettendo molto sullo sviluppo della tecnologia EV investendo decine di miliardi di dollari nello sviluppo di modelli elettrici.
Il mondo dell’auto americana intanto si è affrettata a salire sul carro del vincitore, in alcuni casi sconfessando clamorosamente l’atteggiamento assunto fino a prima delle elezioni. General Motors ad esempio ha subito “scaricato” l'amministrazione Trump e la battaglia dell’ex presidente contro la California in merito alle norme sulle emissioni che invece aveva sinora sostenuto. L'annuncio è stato dato nelle scorse settimane dal Ceo di GM, Mary Barra, in una lettera alle associazioni ambientaliste, in cui assicura ogni sforzo "per trovare il percorso che porterà a un futuro tutto elettrico". Per sostenere il dialogo, GM ha deciso di "ritirarsi immediatamente" dalle dispute legali in California, e ha invitato Toyota e Fiat Chrysler - che l'avevano affiancata – a fare altrettanto .
Guidata dai democratici, la California è da anni in prima linea nella lotta contro il cambiamento climatico e si è imposto standard ambiziosi sulle emissioni di gas serra dei veicoli. Ma l'amministrazione Trump ha deciso nel settembre 2019 di ritirare il diritto di stabilire le proprie regole in materia, decisione rapidamente impugnata in tribunale. Per giustificare il suo sostegno all'azione dell'amministrazione repubblicana contro la California, GM aveva sostenuto il rischio di trovarsi di fronte a più standard. Per quanto riguarda gli altri costruttori, Toyota ha ricordato di essersi unita a GM e Fiat-Chrysler nella disputa proprio perché c'era una preponderanza di altre case automobilistiche "contrarie agli standard della California. "Date le circostanze mutevoli - mette ora le mani avanti il Gruppo giapponese - stiamo valutando la situazione". Fiat Chrysler al momento non ha preso posizione. Altri produttori, tra cui Ford, Honda e Volkswagen, invece, hanno già stipulato accordi con la California per ridurre volontariamente le emissioni delle loro auto.