«Novità? No», taglia corto Silvio Berlusconi al suo arrivo a Montecitorio per il voto su Romano, avvicinato dai cronisti che gli chiedevano di Bankitalia. Sarebbe la classica non-notizia se non fosse che proprio dal premier il Consiglio dell’Istituto di via Nazionale attendeva per ieri una proposta precisa, un nome su cui esprimere parere - come impone la normativa -, per arrivare quindi alla nomina definitiva, per decreto, da parte del capo dello Stato. Ma la macchina si è inceppata, l’
empasse del governo diventa istituzionale, di sistema, con l’imbarazzante presa d’atto, da parte del Consiglio Superiore di Bankitalia che la riunione non aveva più ragion d’essere, mancando quel nome che Palazzo Chigi aveva promesso di offrire entro ieri.Gli attori della contesa sono costretti a uscire allo scoperto, l’uno - Mario Draghi - per blindare il nome del suo direttore generale Fabrizio Saccomanni, l’altro - Giulio Tremonti - per provare a difendere ancora il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, che sembrava rientrare in gioco in nome del ritrovato canale comunicativo fra il ministro dell’Economia e il premier. Il governatore designato alla Bce che lascerà via Nazionale a fine mese, vede prima Berlusconi e poi Napolitano. Lo stesso Tremonti - all’indomani delle due ore di faccia a faccia con il premier - torna a farsi vivo a Palazzo Chigi, ma coglie subito gli effetti dell’incursione di Draghi.Durissimi, Pd e Udc affidano a un’inusuale nota congiunta di Pierluigi Bersani e Pier Ferdinando Casini il loro sconcerto: «Nel mezzo di una tempesta finanziaria internazionale che vede l’Italia in prima linea invece di offrire certezze e stabilità, il governo continua a tenere pericolosamente in bilico il paese per mere esigenze personali o di equilibri interni», dicono a una sola voce. «La professionalità e la competenza dei diversi candidati - aggiungono - non sono in discussione». Ma poi indicano il criterio della «continuità» ed emerge in controluce il loro sostegno per la soluzione Saccomanni, attuale numero due di Bankitalia, che Draghi sembra aver nuovamente blindato ieri.Come nel suo stile Umberto Bossi, invece, la sua scelta, al fianco della battaglia dell’amico Giulio, la mette in campo chiara chiara: «Preferisco Grilli, non fosse altro perché è di Milano». E si presta all’ironia bersaniana: «Beh allora io ho un candidato di Bettola...», scrive su Facebook il segretario del Pd alludendo al suo paese di origine, nel piacentino.La confusione è grande. Dall’opposizione si fa sentire anche Antonio Di Pietro: «Anche per un organo che dovrebbe essere di garanzia, le nomine sono oggetto di mercanteggiamento e voto di scambio», tuona il leader di Idv. «No - dice - ad accordi sotterranei a Palazzo Grazioli».Ma ecco entrare in gioco anche Roberto Maroni, che incontra Tremonti alla
buvette di Montecitorio, si apparta a parlare fitto fitto con lui per una ventina di minuti e si fa intercettare una frase significativa: «Ad agosto avevamo detto che era meglio mandare uno che era indicato da Draghi», dice il ministro dell’Interno, ricordando l’affermazione di Bossi: «Basta che la Bce ci compri i titoli di Stato», disse il senatur nel pieno dell’ondata speculativa. «E ora che facciamo - ragiona Maroni con Tremonti - ci mettiamo contro la Bce?». E nella partita di Bankitalia la bilancia, al termine della giornata, torna a pendere a favore di Draghi e del suo "vice" Fabrizio Saccomanni.