La valorizzazione del «posto fisso » fatta da Giulio Tremonti resta sugli scudi e infiamma per altre 24 ore il dibattito politico. Scende in campo persino Silvio Berlusconi per «confermare», in un comunicato di Palazzo Chigi, «la completa sintonia» con il suo ministro dell’Economia e (contraddicendo quanto disse un anno fa) per affermare: «È del tutto evidente per noi che il posto fisso è un valore e non un disvalore. Così come sono un valore le partite Iva». Berlusconi approva, ma Confindustria no: per il presidente Emma Marcegaglia sarebbe solo «un ritorno al passato non possibile, che peraltro nel nostro Paese ha creato problemi». Il diretto protagonista, Tremonti, si dice il primo sorpreso da tanto cancan (inclusa la replica, secca nei toni, del suo collega di governo Renato Brunetta) e, da Lussemburgo, ci torna sopra per dire che «ho detto una cosa scontata, come dire preferisco stare al caldo che al freddo». Tant’è: il dibattito è partito e si arricchisce di contributi. Così Raffaele Bonanni, leader della Cisl, rispolvera la proposta di «far costare di più alle imprese la flessibilità». In concreto: aumentare i contributi previsti per i collaboratori, oggi ancora inferiori di quasi 7 punti rispetto ai dipendenti. Coglie la palla al balzo pure Guglielmo Epifani, il 'numero uno' Cgil che chiede al governo, «senza perdere tempo, di avviare un tavolo di confronto» sul tema della precarietà. E da sinistra arrivano 'provocazioni' a Tremonti, fra l’Idv che lo invita a firmare la proposta per limitare il precariato e il Prc-Se che, con Ferrero, lo esorta a «sposare la campagna» per abolire la legge 30. L’attacco di Marcegaglia. I problemi creati in Italia dalla cultura del posto fisso la Marcegaglia li ha pure elencati: «Un aumento della disoccupazione, del sommerso per esempio al Sud, e - nella pubblica amministrazione - questa logica dell’assenteismo e dei fannulloni». Per il capo degli imprenditori «nessuno è a favore dell’insicurezza, però noi siamo per la stabilità delle imprese e dei posti di lavoro, che peraltro non si fa per legge». Per le imprese, dunque, il problema è duplice: «Da una parte servono riforme, dall’altra una flessibilità regolata e tutelata come quella fatta con Treu e Biagi», chiarisce Marcegaglia sottolineando che «l’industria è quella che fa più lavoro stabile, il grosso del precariato è nell’università, nel pubblico impiego e nella scuola. Bisogna rispondere a quello ». Per Confapi, invece, il punto è che «si sta facendo troppa filosofia, che sia fisso o a termine in questa fase conta che il lavoro ci sia». La difesa di Berlusconi. Il premier se l’è presa con la «polemica» scatenata, a suo dire una «conferma della malafede di molti esponenti della sinistra ». Il Cavaliere ha quindi reso omaggio all’«economia sociale di mercato» (concetto caro a Tremonti), aggiungendo che a essa «si ispira anche la tutela della famiglia come elemento di stabilità». Ha però sorvolato sul fatto che il più polemico sia parso il ministro Brunetta che (peraltro a Repubblica) ha dichiarato: quella di Tremonti «è una soluzione del ’900 che non va più bene». Tremonti non gli ha replicato ma, ricordando di aver nel 1997 «apprezzato il 'pacchetto Treu'», ha precisato che «il lavoro precario è una necessità in parte imposta dalla globalizzazione, ma lo Stato deve renderlo meno gravoso». Nelle opposizioni resta però sconcerto. Per Dario Franceschini, Tremonti è «dottor Jekyll e Mr. Hyde» e per Francesco Rutelli sono «baggianate, una certa flessibilità è utile».