Resta alta la temperatura del confronto sul futuro della Fiat dopo le dichiarazioni dell’amministratore delegato Sergio Marchionne. Per il segretario della Cgil Gugliemo Epifani, «in Germania sarebbe stato cacciato» se fosse andato a parlare della sua azienda in Tv. Lo difende invece il presidente di Confidustria Emma Marcegaglia che legge l’intervento di Marchionne come «un pungolo a superare i limiti di competitività del nostro sistema industriale». Intanto si muove il governo: il 4 novembre ci sarà un incontro tra lo stesso Marchionne e il nuovo ministro dello Svilippo Economico Paolo Romani. Sul tavolo il piano di investimenti da 20 miliardi di euro Fabbrica Italia, annunciato dalla Fiat ma non ancora articolato nei dettagli, e il possibile ruolo dell’esecutivo per supportarlo. Sindacati e azienda si vedranno invece già domani a Torino.«La Fiat, la famiglia, John Elkann, Marchionne, non hanno affatto detto che intendono lasciare l’Italia», ha detto Emma Marcegaglia. «A me è sembrato che l’appello del manager sia a guardare i problemi dell’Italia, che sono effettivi e non riguardano solo Fiat». Per la presidente di Confindustria dunque l’intervento non deve diventare «motivo di scontro e divisione politica ma piuttosto motivo per riunire le forze».In questo quadro Marcegaglia è tornata a invitare la Fiom-Cgil a «superare la contrapposizione continua»». Il segretario della Cgil Epifani si è chiesto invece «cosa sarebbe successo in Germania se un amministratore delegato di un grande gruppo avesse parlato in televisione e non davanti al suo comitato di sorveglianza? Lo avrebbero cacciato», ha detto Epifani, secondo il quale l’uscita di Marchionne rende ora più difficile affrontare la vertenza. «Marchionne non dice il falso – ha aggiunto – ma scambia la causa con gli effetti. Il problema non è l’orario di lavoro, la Fiat deve far crescere la qualità di quello che produce: se ha 22.000 lavoratori in cig non può chiudere in utile e se sono in cig è perché i suoi modelli non si vendono». Epifani accusa anche il governo di non avere una politica industriale, mentre in questa situazione «qualsiasi governo europeo avrebbe aperto un tavolo e discusso delle prospettive del gruppo». Anche la Fiom sollecita un tavolo governativo richiesta su cui gli altri sindacati, a cominciare da Fim e Uilm, frenano .Una delle accuse più ricorrenti alla Fiat è quella di avere ricevuto soldi pubblici e dunque di avere un debito di riconoscenza verso il paese. La Cgia di Mestre ha fatto due conti in base ai quali gli aiuti di Stato ricevuti dal gruppo torinese ammontano a 7,6 miliardi di euro negli ultimi 30 anni. La fetta più consistente, oltre 5 miliardi, risale agli anni Ottanta. Ma contributi per la costruzione o la ristrutturazione di impianti (a Melfi , Pratola Serra, Foggia) sono stati erogati anche dopo e fino al 2003. La Cgia ricorda anche la spesa a carico dello Stato per coprire gli incentivi alla rottamazione (in vigore fino al 2009) pari a 465 milioni di euro e andati a vantaggio di tutti i costruttori auto. Insomma, i dati confermano che la Fiat ha avuto molto anche se non durante la gestione Marchionne (se si escludono gli incentivi).