I datori di lavoro in tutta l’Unione Europea sono tenuti per legge a garantire la parità di trattamento dei lavoratori e combattere qualsiasi tipo di discriminazione fondata sul sesso, origine razziale o etnica, religione o fedi, disabilità, età oppure orientamento sessuale. Tuttavia, l’indagine Work Force in Europe 2018 condotta da Adp su circa 10mila lavoratori europei di cui 1.300 dipendenti in Italia, ha evidenziato che un lavoratore europeo su tre (34%) si è sentito discriminato per qualche motivo sul posto di lavoro. Questo dato sale al 37% in Francia, Spagna e Regno Unito, mentre i Paesi Bassi hanno l'incidenza più bassa al 21%. L’Italia è in testa con il 42%.
Poco meno della metà degli italiani ha dichiarato quindi di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro (il 37,8% degli uomini e il 47,4% delle donne) ecco le motivazioni. È l’età il principale motivo per cui l’italiano si sente discriminato, infatti lo ha affermato il 19,3% dei lavoratori over 55 mentre tra i 35 e 44 anni lo denuncia solo il 7,4%. Il 22% dei lavoratori tra i 45 e 54 vede l’età come prima motivazione di ostacolo alla carriera, una percentuale molto alta se si considera la tarda età in cui oggi giorno ci si approccia al mercato del lavoro. Seguono le discriminazioni legate al sesso per il 9,8% (6,3% per gli uomini e 14,2% per le donne), background (9,7%), istruzione (6,8), nazionalità (3,4%), religione (4,4%), aspetto fisico (4,4%), sessualità (2,7%).
«I lavoratori italiani sono al primo posto in Europa tra coloro che dichiarano di subire discriminazioni sul posto di lavoro (42%). Una fotografia della nostra società che rispecchia talvolta una scarsa lungimiranza nelle risorse umane e la sopravvivenza talvolta di stereotipi vincolanti. Il sesso e l’età sono i primi fattori di discriminazione, quando in realtà in ambito lavorativo è l’istruzione e l’esperienza a dover governare un colloquio. Uno scenario su cui riflettere per attivare una strategia risolutiva nel creare una cultura aziendale che vada oltre tali limiti, molto spesso sociali», commenta Virginia Magliulo, general manager di Adp Italia.
In Europa, ancora una volta, l'età è indicata come il motivo più comune della discriminazione, citata dal 10% dei lavoratori, seguita dal sesso (8%) e poi dal background (5%) e dall'istruzione (5%). La discriminazione tra uomini e donne è più alta tra le lavoratrici femminili (12%), mentre la discriminazione per l’età aumenta per le persone superiori ai 55 anni (17%) e inferiori di 25 anni (17%), il che suggerisce che non sia solo un problema per i più anziani. Le segnalazioni di discriminazione basata sull'età sono più diffuse nel Regno Unito (12%), mentre i lavoratori spagnoli riferiscono di essere trattati in modo diverso a causa del loro sesso (12%). I lavoratori del settore delle arti e della cultura riferiscono di subire più discriminazioni rispetto agli altri settori (48%), mentre un'alta percentuale di coloro che lavorano nel settore delle vendite, media e marketing (40%) e servizi finanziari (40%) hanno dovuto affrontare questo problema.
Nonostante il principio della parità di retribuzione sancito nel diritto comunitario, le donne sono ancora pagate in media il 16,3% in meno rispetto agli uomini in tutta Europa. Ciò ha portato alcuni Paesi a introdurre la segnalazione del divario di retribuzione tra uomini e donne, nel tentativo di colmare questo inaccettabile differenza nel riconoscimento economico. Per esempio, la legislazione francese introdotta nel 2010 richiede alle aziende con più di 50 dipendenti di effettuare un’analisi dei divari di retribuzione tra uomini e donne, mentre il Regno Unito ha recentemente seguito l’esempio introducendo obblighi di segnalazione per i datori di lavoro con più di 250 dipendenti.
Ma i dipendenti europei sentono davvero il bisogno di segnalare le differenze di retribuzione tra i sessi nelle loro organizzazioni? Nel complesso, la maggioranza dei lavoratori europei ha fiducia nel fatto che il loro datore di lavoro stia già retribuendo equamente uomini e donne, con il 53% che ritiene che la segnalazione del divario retributivo non sia necessaria - per quanto ne siano a conoscenza. Tuttavia, più di un quinto (22%) dei lavoratori ritiene che sia necessario e un quarto dei lavoratori (25%) afferma di non esserne sicuro. I numeri, forse non sorprendenti, cambiano a seconda del genere a cui si pone la domanda, infatti un quarto (25%) delle donne crede che sia necessaria la segnalazione delle differenze di retribuzione, rispetto al solo 19% dei colleghi maschi. È anche marginalmente più popolare tra i gruppi di età più giovani, con oltre un quarto (28%) dei lavoratori tra 25 e 34 anni a favore, rispetto al solo 16% dei lavoratori di età superiore a 55 anni.
A livello nazionale, l’appoggio per la legislazione raggiunge l’apice in Francia, dove un terzo (32%) dei dipendenti pensa che dovrebbero esserci segnalazioni della disparità di retribuzione tra uomini e donne, insieme alla Svizzera, dove il 29% è favorevole. I lavoratori nei Paesi Bassi sono i meno probabili a ritenere che sia necessaria (8%), seguita dal Regno Unito (14%), nonostante la legislazione sia appena entrata in vigore. Da una prospettiva di settore, i professionisti dei servizi finanziari hanno più probabilità di affermare che sia necessaria la segnalazione della disparità di retribuzione tra uomini e donne nella loro azienda (30%), seguita da quelli del settore informatico e delle telecomunicazioni (27%). Al contrario, i lavoratori del settore pubblico hanno meno probabilità di ritenerla necessaria (9%).
Da quelle di sesso a quelle d’età, la percentuale italiana è la più alta d’Europa (42%)
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