mercoledì 9 novembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Le ultime ore convulse vissute dal governo Berlusconi trovano un Luigi Abete, presidente di Bnl e Assonime (che riunisce le società per azioni), determinato a reclamare che la politica non venga meno, ora, agli impegni presi con la Ue nella lettera d’intenti: «Da quanto si comprende, c’è l’impegno ad approvare le misure proposte all’Europa, e poi a lasciare a Napolitano la responsabilità di valutare l’evoluzione della legislatura».Questo basterà a tranquillizzare i mercati?Speriamo. Occorrerà, nei prossimi giorni, essere molto credibili. Nel metodo e nei tempi. Il governo ha sbagliato in passato a negare una specificità tutta italiana della crisi. Fatta non tanto di alto debito, quanto di una crescita troppo bassa e da troppo tempo. La lettera dice cose condivisibili, ma purtroppo parziali. Non sono toccati due temi portanti: la riforma del Fisco e le pensioni d’anzianità. Mentre si è agitato un feticcio: i licenziamenti più facili.Perché dice feticcio?Ma di questo si tratta: di un feticcio, usato da alcuni per dividere. Non è uno dei nodi strutturali. Dov’è il problema? Già oggi un’azienda che vuol chiudere anche soltanto un reparto non più produttivo lo può fare, negoziando con il sindacato oppure pagando una penale, se non riesce a definire un accordo sindacale. Per i licenziamenti singoli, bisogna distinguere: se sono discriminatori, non si possono e non si potranno fare, e comunque sempre dal giudice del lavoro si dovrà andare per verificarlo. Restano singoli casi, del tutto eccezionali, che riguardano le aziende con più di 15 addetti. L’unico motivo addotto è quello psicologico: le aziende non crescerebbero per questo. A me sembra fuori dalla storia.Tanto rumore per nulla?È un capitolo minimo. Bisogna occuparsi semmai del lavoro a tutto campo: pochi ricordano che la lettera della Bce di agosto invitava a occuparsi di questo argomento nell’ambito delle "politiche attive" del lavoro. Tradotto: rendere più stabile l’occupazione giovanile e cambiare il sistema dei sussidi di disoccupazione.La sua linea non confligge con la scelta di Sergio Marchionne, che ha portato Fiat fuori da Confindustria?La rappresentanza d’impresa sta diventando orizzontale. Quello che diventa importante è l’habitat che si crea, ormai sempre più comune ai vari soggetti, industrie, banche e assicurazioni e servizi. Certo anche Confindustria può essere migliorata. Ma quella operata da Marchionne è stata una scelta cultural-sistemica prima ancora che sindacale: nel momento in cui il gruppo Fiat si integra in un’America che non ha un sindacato strutturato, lui si è trovato a scegliere fra due diverse filosofie. E ha operato una scelta del tutto legittima, soltanto la storia dirà se giusta o sbagliata.Vuole dire che le relazioni industriali sono ok così?Sto dicendo che, per modernizzarle - e questo bisogna fare -, non dobbiamo per forza destrutturarle. Purtroppo in questa fase c’è stato un altro attore che non ha agevolato questo percorso.A chi si riferisce?Al governo e a chi al suo interno, come il ministro del Lavoro Sacconi, ha sempre esaltato, più che il valore della inclusione, il dis-valore della divisione. Il non tenerne conto rappresenta un problema, acuito da leadership moderne che tendono a isolarsi pericolosamente. La Cgil non può essere isolata. Un problema serissimo c’è, ma se lo radicalizziamo diventa insanabile. E l’articolo 8 dice una cosa importante, cioè che il contratto negoziato in azienda ha una validità erga omnes, ma pure una pericolosa: che la derogabilità al contratto nazionale è consentita anche alle organizzazioni più rappresentative a livello territoriale. Questo può spalancare le porte a formazioni "neo-cobas". Vorrei ricordare però una cosa.Quale?Oggi si spinge verso i contratti aziendali. Ma che la direzione da intraprendere fosse quella, in Italia lo avevamo deciso già con l’accordo del 1993. Il problema è il ritardo enorme della politica: una legge di sostegno è stata fatta con 16 anni di ritardo, solo nel 2009. La norma sulla fiscalità agevolata al 10% va resa permanente, non rinnovata di anno in anno. E non capisco perché non lo si faccia subito. Vogliamo vedere che poi saranno gli stessi iscritti alla Fiom a chiedere di trattare i contratti aziendali?Torniamo agli altri nodi: il Fisco.È lampante che vada ridotto il prelievo su redditi bassi e imprese. Per farlo come Assonime abbiamo proposto fin da gennaio d’introdurre una patrimoniale ordinaria, dell’1-2 per mille e con franchigia, ma su tutto: case, azioni, titoli pubblici. E non va fatta per ridurre il debito, in via straordinaria, ma per riequilibrare il sistema fiscale e realizzare uno scambio. Non tutto quello che oggi è patrimonio è passato per la tassazione del reddito. Inoltre, con l’euro il nostro patrimonio oggi non si svaluta come accadeva con la lira.Poi le pensioni d’anzianità?È una riforma da fare per il semplice motivo che la vita si è allungata. Si sbaglia nel presentarla: se la indico come una punizione per dei presunti privilegiati, è inevitabile che poi scoppi il conflitto. Come nel 1994.Per chiudere, Confindustria: chi sarà il prossimo presidente?Non è un problema, visto che più di un autorevole imprenditore si è dichiarato disponibile. Confindustria ha sempre saputo scegliere in base al tempo: per non far esplodere il conflitto sociale fu scelto l’industriale-simbolo, Agnelli. Poi si trattò di accompagnare una politica di solidarietà nazionale, ed ecco Carli. Vennero poi l’apertura alla terza Italia industrializzata, al di là di Nord e Sud, ed ecco Merloni; la prima ristrutturazione pesante, e fu Lucchini; la necessità di avere uno sguardo europeo, Pininfarina; la cesura fra prima e seconda Repubblica, e fu scelto un nome nuovo come il sottoscritto; per il confronto con le spinte separatiste nel Nord, un lombardo come Fossa; per il tentato rilancio del Sud, D’Amato; per stare nella globalizzazione d’inizio millennio, Montezemolo; infine, una donna con un forte vissuto associativo, Emma Marcegaglia. Anche stavolta sarà una scelta giusta.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: