sabato 9 marzo 2024
Il documento elaborato con gli esperti dell'Università Cattolica
Il Parlamento Europeo, sede di Strasburgo

Il Parlamento Europeo, sede di Strasburgo - IMAGOECONOMICA

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Una risoluzione del Parlamento Europeo per promuovere interventi di “diplomazia riparativa” che abbiano al centro la partecipazione delle donne e, più in generale, di chi solitamente è ne è escluso (perché marginalizzato, discriminato o perché poco considerato), nei processi di costruzione e mantenimento della pace, sulla scia della storica risoluzione 1325 del 2000 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che ha dato vita all’Agenda Donne pace e sicurezza e alla luce delle altre risoluzioni che ne sono seguite, anche riguardo al coinvolgimento dei giovani nella pace, nonché in virtù delle azioni già adottate dall’Unione Europea.

È quanto chiede la petizione firmata da Avvenire che accompagnerà la campagna di informazione e sensibilizzazione Donne per la Pace (qui il testo integrale). Elaborata da un team di docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, coordinati dalla prorettrice alle Pari Opportunità, professoressa Raffaella Iafrate, e dalla penalista dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale dello stesso Ateneo, professoressa Claudia Mazzucato, la petizione in questi giorni sarà registrata nell’apposito portale del Parlamento Europeo e da lì seguirà il previsto iter interno.

Il documento, in estrema sintesi, chiede al Parlamento di Strasburgo una risoluzione che sproni le istituzioni europee e i singoli Stati membri a dare piena attuazione all’Agenda Donne pace e sicurezza, promuovendo la partecipazione delle donne «nei processi di pace e nella costruzione della sicurezza a valle di guerre e altri conflitti armati interni e internazionali, nei casi di terrorismo ed estremismo violento, nonché nei contesti di transizione verso la democrazia e la pace positiva».

Partecipazione delle donne vuol dire anche assumere una prospettiva di genere (cioè fondamentalmente con gli occhi delle donne) nei negoziati di pace, nella pianificazione di interventi umanitari e nelle fasi post conflitto.

Da qui, la petizione allarga l’orizzonte oltre il femminile, sollecitando una più generale democratizzazione dei cammini necessarie alla ricucitura dei legami strappati dalle violenze: democratizzazione nel segno di una “diplomazia riparativa” (l’espressione è dello studioso australiano John Braithwaite) ispirata ai valori della restorative justice e nel senso di una diretta partecipazione all’arduo lavoro del vivere insieme delle persone (non solo donne: le minoranze, i gruppi discriminati e i soggetti vulnerabili) che normalmente stanno lontane dalle sedi diplomatiche ma vivono, o hanno vissuto, sulla propria pelle gli effetti distruttivi di conflitti, violazioni dei diritti umani, guerre, violenze, estremismo violento.

La valorizzazione, cioè, delle esperienze di diplomazia dal basso, quelle cioè in cui si tenta di ricucire le ferite già nelle comunità locali dove le divisioni e il risentimento abitano a lungo, pronti a infiammarsi di nuovo (si pensi alla guerra nell’ex Jugoslavia, o in tanti Paesi africani afflitti da conflitti interetnici). Ricucire quotidianamente grazie all’impegno pacificatore di singole persone. E spesso sono donne. Un compito che ci riguarda tutte e tutti, chiamati a collaborare alla costruzione dello spazio pacifico e rispettoso di “libertà, sicurezza e giustizia” in cui consiste il progetto di una Unione Europea.

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