Parvin (a sinistra) e Khatima - .
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Le borse di studio sono dei “corridoi umanitari” che possono salvare tante ragazze afghane dal destino imposto loro dai taleban: quello di smettere di andare a scuola a 12 anni per restare chiuse in casa, praticamente agli arresti domiciliari. Da Venezia con il progetto “Afghanistan 2030. Next Leaders” arriva un messaggio di speranza: continuare a studiare, ottenendo una laurea, è possibile partecipando ai bandi delle università italiane, finanziati da fondazioni private. E si può partecipare anche se si è ancora in Afghanistan ottenendo un visto per studio dall’ambasciata, grazie ad una rete di mutuo-aiuto che sta crescendo sul web.
Parvin e Khatima ci raccontano la loro storia alternando sorrisi e momenti di commozione: hanno età, curriculum e vissuti migratori diversi ma la stessa determinazione. Certo le difficoltà ci sono, burocratiche ed economiche, ma la speranza di poter essere libere un giorno di tornare nel proprio Paese e svolgere le professioni per cui hanno studiato, l'ingegnere una, il medico l’altra, è tanta. Così come la voglia, quasi “un obbligo morale”, di aiutare chi sta dall’altra parte della barricata a spiccare il volo.
«Devo trattenermi dal piangere quando parlo con le ragazze afghane. Hanno perso ogni libertà, hanno perso la vita ma quello che mi fa soffrire di più è che stanno perdendo anche la speranza. Se continuano a studiare l’inglese, che è l’unico “ponte” in grado di condurle verso il resto del mondo, non avranno perso tre anni della loro vita, per questo le esorto a studiare ogni giorno», racconta Parvin. Ha soltanto 20 anni ed ha trascorso la sua infanzia in Iran come apolide. Ha studiato come autodidatta, non potendo accedere alla scuola pubblica. La passione per l’insegnamento è iniziata quando era ancora ragazzina: faceva ripetizioni di inglese e matematica ai figli degli immigrati afghani privati come lei dei diritti fondamentali. Oggi tiene lezioni on-line, soprattutto di inglese, per le ragazze afghane rimaste in patria aiutandole anche a trovare i bandi per borse di studio, passando a setaccio possibilità e requisiti. Lo stesso strumento che ha utilizzato lei per venire in Italia: si era appena diplomata ed era tornata in Afghanistan per andare all’università quando nell’agosto del 2021 i talebani hanno preso il potere. È stata quindi costretta a cambiare programma. Adesso sta frequentando il corso di ingegneria dell’informazione a Padova ma vorrebbe specializzarsi in ingegneria bio-medica. Il suo percorso però è ancora tutto in salita: non ha il permesso di soggiorno né una borsa di studio, viene aiutata direttamente dall’associazione A2030 Social Innovation Designers e dalle fondazioni che la supportano, e questo ritardo nell’iter burocratico le impedisce anche di trovare un lavoretto.
Khatima di anni ne ha 30 e ha vissuto come rifugiata in Pakistan perché di etnia hazara, minoranza perseguitata nel suo paese. Poi ha avuto la possibilità di studiare medicina in Russia. Era pronta a rientrare in Afghanistan, nel 2021, ma con i talebani al potere ha invertito la rotta ed è rimasta all’estero. «In Afghanistan sono rimasti i miei genitori e le mie sorelle e sono molto preoccupata di quale sarà il loro futuro», racconta. Cerca di aiutarle economicamente, mandando i soldi che riesce a risparmiare della sua borsa di studio, e si prepara a un nuovo trasferimento, questa volta obbligato. «Farò un tirocinio a Londra in musicoterapia in primavera perché in Italia non c’erano possibilità. Poi però tornerò a Padova per finire i miei studi». È una studentessa modello, sta prendendo una laurea in neuroscienze, e potrebbe aspirare ad un dottorato. Intanto si adopera per aiutare gli altri: fa da tutor agli studenti stranieri neo-immatricolati, del programma UNIPD4AFGHANISTAN, dell'università di Padova che ne ha accolti più di 100. Contribuisce inoltre attivamente al corso di italiano "The Inner Place Chat Cafè", sviluppato da A2030 con la formula inusuale di un caffè letterario online. Quando avrà un po’ di tempo libero vuole iniziare anche lei ad insegnare online alle afghane attraverso programmi promossi dagli stessi Next Leaders, come il corso di APJO (Afghan Peace and Justice Organization) per cui già quaranta docenti volontari di etnia hazara stanno offrendo a più di 2000 ragazze in Afghanistan un corso di inglese ed informatica a distanza.
Parvin e Khatima - come tutti i partecipanti al progetto “Afghanistan 2030. Next Leaders” sviluppato dall’associazione A2030 Social Innovation Designers - sono supportate dal programma per i rifugiati di The Human Safety Net (la fondazione del gruppo Generali nata nel 2017) per facilitare l’accesso a percorsi di tirocinio o avviamento professionale.
All’interno del progetto Ready for IT attivato dalla Fondazione Italiana Accenture, The Human Safety Net sostiene tutte le 40 borse di studio dedicate alle persone rifugiate. Grazie a preziosi progetti come questo l’associazione di volontariato A2030 sostiene i giovani di talento la cui carriera e il cui sviluppo personale e professionale sono stati bruscamente interrotti dalla presa del potere dei taleban. Grazie alle donazioni dei privati, facilita l'accesso allo studio universitario sostenendo gli studenti meritevoli con borse di studio o specifici finanziamenti destinati alla conversione dei titoli di studio, al pagamento delle tasse regionali, al vitto e alloggio, si occupa delle procedure per l'ottenimento dei visti e della conversione dei documenti.
Francesca Grisot, ricercatrice dell’università di Ca Foscari a Venezia e presidente di A2030, lancia un appello affinché la questione afghana non venga dimenticata. Purtroppo le borse di studio sono poche. Le pochissime avviate direttamente dal ministero dell’Istruzione erano di appena 5mila euro mentre quelle finanziate dalle fondazioni consentono, con mille euro al mese, alle ragazze di mantenersi. Oltre a Venezia sono attive le università di Trento e di Torino. «Noi siamo partiti dalle richieste dei beneficiari – sottolinea Grisot che da 20 anni si occupa di Afghanistan – facendoci interpreti delle loro necessità e costruendo grazie alla lungimiranza di fondazioni come Human Satefy Net una rete che valorizzi le competenze e le motivazioni di queste ragazze». Non basta limitarsi all’assistenza primaria dei rifugiati, va elaborata una strategia di lungo respiro che renda proficua e reale l’inclusione. «Tra poco i 5.000 afghani che sono arrivati in Italia usciranno dai progetti di accoglienza - spiega ancora Grisot - il problema è che, pur essendo in molti casi professionisti istruiti, non sono stati adeguatamente assistiti e quindi non si sono inseriti nel mondo del lavoro».