«I taleban possono provare a ridurci al silenzio con le loro leggi, ma non possono prendere le nostre voci. Noi scriveremo, leggeremo. E resisteremo. Le nostre ferite diventeranno poesie, e la nostra sofferenza si trasformerà in canto eterno».
È uno delle centinaia di messaggi lanciati sui social in questi giorni, firmato su X dalla poetessa afghana in esilio Shafiqa Khpalwak. Sono – siamo - tutte sorelle delle resistenti che a Kabul come ad Herat, a Mazar-i Sharif come a Jalalabad sono costrette a piegarsi agli spietati diktat degli studenti coranici. Sono – siamo – tutte sorelle di coloro che necessariamente scendono a compromessi con la realtà nera che è toccata loro in sorte ma tentano con la disperazione nel cuore di non compromettere sé stesse né i progetti che cullavano da bambine. In Afghanistan alle donne da tre anni è vietato esistere alla luce del sole.
L’ultimo decreto, una sorta di riepilogo in 35 articoli di tutto ciò che rende le donne - e per alcuni aspetti anche gli uomini - prigioniere nelle proprie case e nel proprio corpo, vieta di far sentire in pubblico la voce femminile. Vietato cantare, vietato recitare, vietato parlare con toni alti, vietato far uscire il rumore della propria esistenza dalle mura domestiche. Vietato cantare la ninna nanna a un neonato irrequieto durante la passeggiata, vietato ridere con le amiche al mercato, vietato pronunciare parole d’amore a un fidanzato al parco, vietato protestare per un sopruso… Riusciamo a immaginarlo?
Togliere la voce a qualcuno è l’atto supremo della volontà di cancellarlo: non puoi parlare, quindi non puoi esprimere i tuoi pensieri, quindi non hai volontà, quindi devi obbedire a tutti tranne che ai tuoi desideri. E se ne hai, devono rimanere chiusi nella tua mente. Nel tuo silenzio.
Ma le donne afghane in questi ultimi tre anni, da quando cioè il 15 agosto 2021 i taleban si sono ripresi il potere grazie anche alla fuga dei soldati occidentali, hanno dimostrato al mondo, o almeno a quella parte di mondo che non gira la testa dall’altra parte, che c’è sempre un modo per resistere. Per esistere.
Alla chiusura degli istituti scolastici femminili, hanno frequentato lezioni online o proseguito gli studi nelle scuole segrete. Al divieto di lavorare fuori casa, hanno messo in funzione le macchine per cucire e gli attrezzi da parrucchiere nei salotti o i forni nei cortili di casa. Alla proibizione di spostarsi da sole si sono procurate un mahram, un accompagnatore, per continuare a lavorare in quei pochi impieghi ancora permessi. Ci vuole coraggio per vivere, se sei donna in Afghanistan. La resistenza delle donne afghane passerà alla storia: quella di tutti i giorni e quella, ormai davvero sporadica, delle poche che scendono in piazza con blitz repentini nelle città (non nella capitale Kabul, troppo pattugliata) brandendo cartelloni e sfidando le torture e le violenze, ben documentate, nelle carceri femminili.
Così all’indomani della Legge sulla prevenzione del vizio e la propagazione della virtù, dall’Afghanistan arrivano sui social i video di donne coperte ma rumorose: cantano, ballano, strappano le immagini dei taleban, come già le ragazze iraniane nei mesi scorsi tagliavano i loro capelli in omaggio alla giovane Mahsa Amini, picchiata a morte per un sfuggito dal velo.
Le afghane nella diaspora stanno facendo la loro parte: da ogni parte del mondo si levano voci per chi non ha voce, in una sorellanza che travalica confini e diplomazie in nome della dignità umana. Sempre che il mondo voglia ascoltarli, i pensieri resi muti delle afghane in patria, i loro silenzi ancora resilienti (ma per quanto?) e le voci, invece forti, delle sorelle in esilio.
Sempre che i responsabili dell’Onu, degli Usa e dell’Unione Europea, dai loro uffici confortevoli, decidano che per i diritti delle donne afghane valga la pena mettere in campo strategie, risorse, pressioni più efficaci di quando accaduto finora. Le donne afghane sono convinte (ma ancora per quanto?) che la storia cambierà, che la lunga notte inflitta dai taleban finirà, che la loro eroica resistenza quotidiana servirà a riprendere, domani, in mano la loro vita. Ma oggi, rimaste senza voce, hanno bisogno della nostra. Forte e chiara.