undefined - Agenzia Romano Siciliani
«I progressi della tecnologia hanno reso possibili nuovi tipi di interazioni umane. In effetti, la questione non è più se confrontarsi o meno con il mondo digitale, ma come farlo. I social media in particolare sono un luogo in cui le persone interagiscono, condividono esperienze e coltivano relazioni come mai prima d’ora». E proprio da questa constatazione parte il documento pubblicato dal Dicastero per la comunicazione intitolato «Verso la piena presenza», presentato ufficialmente ieri nella Sala Stampa vaticana dal prefetto del Dicastero Paolo Ruffini, dal segretario generale dello stesso Dicastero, monsignor Lucio Adrián Ruiz, e da suor Nathalie Becquart sottosegretaria della Segreteria Generale del Sinodo e componente del medesimo Dicastero.
Un testo che vuole essere una indicazione per abitare i social come cristiani e anche come comunità ecclesiali. Del resto, complice anche il periodo della pandemia, i social hanno conquistato sempre più spazio all’interno delle comunità, che in particolare durante il lockdown, sono ricorse alla tecnologia per mantenere vivi i contatti tra le persone. Ma la riflessione, come sottolinea il documento, nella Chiesa su questo tema pone le proprie radici in un passato più lontano, guidate anche dal cammino rappresentato dalle Giornate mondiali delle comunicazioni sociali iniziate nel 1967. Ora questo documento ha come «obiettivo quello di affrontare alcune delle principali questioni che riguardano il mondo con cui i cristiani dovrebbero utilizzare i social media». Una riflessione non più eludibile, visto che «siamo nell’era digitale» e che questa appare irreversibile.
Le insidie da evitare
Il documento non nasconde che vi siano delle «insidie da evitare», a iniziare dal fatto che vi sono «molte persone che ancora non hanno accesso alle tecnologie» in questione. Vi è poi la consapevolezza che nell’approccio alle tecnologie l’utente diventa «sia consumatore sia merce», per esempio con la nostra profilatura del profilo comunicato ad aziende affinché possano farne indagini di mercato. «L’ambiente digitale che ognuno vede - e perfino i risultati di una ricerca online - non è mai uguale a quello di un altro - si legge nel documento -. Cercando informazioni nei browser, o ricevendole nel nostro feed su diverse piattaforme e applicazioni, di solito non siamo consapevoli dei filtri che condizionano i risultati».
Anche nell’approccio a comunità digitali, rischiamo di non renderci conto che veniamo indirizzati da algoritmi che tendono a farci incontrare utenti simili a noi, ma, avverte il documento, «con il rischio di impedire ai loro utenti di incontrare davvero l’altro che è diverso».
Incontro, a dire il vero, mai del tutto trasparente e diretto, che lascia spazio a utenti che utilizzano questi luoghi per creare contrapposizioni, divisioni e odio, con la conseguenza di lasciare «lungo le strade digitali molte persone ferite», che «non possiamo ignorare», proprio come non fece il Buon Samaritano della parabola con l’uomo ferito, soccorrendolo, curandolo. Proprio questo atteggiamento deve guidare i cristiani nel mondo social. «Come credenti, siamo chiamati a essere comunicatori che si orientano intenzionalmente verso l’incontro» spiega il documento, che sottolinea anche come «la buona comunicazione inizia con l’ascolto e la consapevolezza di trovarsi davanti un’altra persona». Mai come nel mondo digitale si può essere esposti a «un sovraccarico di informazioni e di interazioni social» e questo mette a dura prova la capacità di concentrarsi sulla comunicazione con l’altra persona.
Uno "stile" da testimoniare
Al contrario, sottolinea il documento del Dicastero per la comunicazione, occorre promuovere un ambiente digitale migliore, che sappia «promuovere una visione integrale della vita umana, che, oggi, include il contesto digitale». «I media digitali permettono alle persone di incontrarsi al di là dei confini dello spazio e delle culture - dice il documento -. Sebbene questi incontri digitali non portino necessariamente a una vicinanza fisica, possono essere comunque significativi, d’impatto e reali». E le comunità digitali che si definiscono cattoliche e usano la loro presenza per alimentare la divisione, non si comportano come dovrebbero fare. Al contrario «le comunità che si formano per agire per il bene degli altri sono fondamentali per superare l’isolamento nei social media». Ecco perché ai cristiani presenti sui social è chiesto uno stile nel linguaggio, nelle parole e negli atteggiamenti, in cui ritrovare quelli di Cristo: essere una fonte attendibile, avere contenuti di qualità, comunicare la bellezza, saper comunicare come comunità. Insomma in una parola essere riflessivi nel nostro agire sui social. Consapevoli del valore dell’essere testimoni.