«Il Sinodo deve preparare la strada perché il mondo riscopra la bellezza della famiglia. E perché, allo stesso tempo, la famiglia possa rendere il mondo più familiare, spezzando l’individualismo che semina nella società germi di “anti-vangelo”». Ne è convinto l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, che in questi giorni, a Filadelfia, coordina uno degli appuntamenti clou di quest’anno straordinario per la vita familiare di oggi e, soprattutto di domani. In attesa naturalmente del Sinodo, a cui Paglia guarda con il realismo del pastore saggio.
Sinodo, lei dice, come apripista a una società più familiare. Obiettivo bellissimo. Ma concretamente come realizzarlo?La famiglia deve riscoprire la bellezza del «noi», aiutando tutti a mettere da parte la dittatura dell’«io». E questo è possibile se la famiglia si lega in maniera originale e genuina alla famiglia di Dio e alla famiglia dei popoli. È una visione larga che, se accolta, può trasformare questo momento di crisi in una straordinaria occasione per una nuova crescita. Di fronte alla tendenza di diminuire sempre più il tasso di famiglia nella società, il Sinodo può aiutare a far capire che è invece importante introdurre “più famiglia” a tutti i livelli, dalla casa, alla città, alla nazione
.Sinodo come “suggeritore” sociale in una realtà sempre più frammentata... Ci riuscirete?Il Sinodo può farlo, facendo propria quell’ispirazione di fondo che papa Francesco mostra nelle catechesi di quest’anno. Non si tratta di risolvere questa o quella questione, che pure verranno affrontate, ma di acquisire una nuova visione della famiglia. Va riscoperta la sua vocazione a non vivere chiusa in se stessa e per se stessa, e promossa la sua missione a rendere più umano il mondo, più solidale, più familiare. Il rischio del familismo è il virus che più fa male alle famiglie, perché le rinchiude in se stesse, facendo smarrire il senso stesso dell’esistenza e quindi della felicità.
Perché la Chiesa negli ultimi decenni non è stata talvolta in grado di accompagnare in modo efficace le famiglie, soprattutto quelle più fragili?Proprio perché si è indebolito il senso dell’appartenenza al popolo di Dio. Facendo mancare quindi alla famiglia il respiro ecclesiale. Papa Benedetto nella
Spe Salvi stigmatizza quell’individualismo religioso che porta a pensare che ci si possa salvare da soli, sia come individui che come nucleo familiare. L’individualismo culturale, purtroppo, ha trovato come complice quello religioso. E ne è nata una società fortemente chiusa in se stessa. Ha ragione papa Francesco quando sostiene che c’è bisogno di una rivoluzione culturale. Si è smarrito quel filo rosso della solidarietà che, nei momenti difficili, sosteneva le famiglie più fragili e rendeva tutti più solidali. Va recuperato, e in fretta, il senso della famiglia di Dio, da una parte, e quello della famiglia dei popoli dall’altra.
Questa visione trova le sue radici nella stessa Bibbia? Esattamente. Questa prospettiva appare con chiarezza nella Genesi, quando Dio affida all’alleanza tra uomo e donna – che come dicevo prima non riguarda solo il matrimonio – la custodia del Creato e lo sviluppo delle generazioni. Oggi siamo chiamati a riscoprire questa alleanza. Il Sinodo dovrebbe far rivivere l’alleanza tra l’uomo e la donna per un nuovo futuro per tutti. Per questo è indispensabile un nuovo legame tra la famiglia e la Chiesa. La famiglia spesso è poco ecclesiale – cioè poco aperta – e la Chiesa è poco familiare. Il questo senso il Sinodo dovrebbe spingere a volare alto. Deve far riscoprire che non ci si sposa per sé o per il proprio piccolo orizzonte, ci si sposa nel Signore, ossia mettersi nel suo stesso orizzonte che vasto come il mondo.
Tutto questo, più o meno, c’è nel Catechismo. Basterà rispiegarlo con parole e modalità nuove?No, nei momenti di passaggio o di crisi non basta rispiegare, bisogna riappassionare, non bastano le parole, c’è bisogno di testimoni credibili. Ecco perché il vero frutto del Sinodo non sarà un bel documento; dev’essere una nuova primavera delle famiglie. La vera lettera non sarà quella scritta sulla carta, ma nella passione che le famiglie avranno per cambiare il mondo, perché sia più familiare.
Questo Sinodo è collegato all’anno della misericordia. Ma come far dialogare verità e misericordia?Non c’è dubbio che l’anno della misericordia porti una luce che rischiara i lavori sinodali. Di fronte a una cultura, a una politica, a un’economia che spinge la società a diminuire il tasso di famiglia, il Sinodo ha la responsabilità a spingere in senso contrario, verso una prospettiva più familiare. Misericordia allora non vuol dire cedimento, ma esattamente l’opposto. Misericordiosa è una Chiesa che aiuta la società, in tutti i suoi versanti, a crescere in familiarità, in solidarietà, in capacità di sostenere tutti e soprattutto i più deboli. Le famiglie ferite non dobbiamo abbandonarle: debbono essere aiutate perché giungano alla guarigione. Le famiglie incomplete, cioè le coppie di fatto, non devono essere demonizzate ma accompagnate a crescere sino a fare il passo decisivo. Insomma, di fronte a tutte le liquidità che oggi caratterizzano la società e le stesse le famiglie, il Sinodo deve dare un messaggio perché i rapporti si solidifichino, spiegando che l’amore richiede solidità.
Che peraltro è un obiettivo largamente condiviso, anche tra i giovani...Sì nel cuore di tutti c’è questa aspirazione. Se torniamo alla Genesi, riscopriamo quel passaggio in cui il Creatore dice: “Non è bene che l’uomo sia solo”. Nella prospettiva della comunione, la misericordia è la medicina che guarisce anche le situazioni più difficili. L’
Instrumentum laboris mostra questo aspetto positivo teso a far maturare quella familiarità di cui tutti abbiamo bisogno. La Chiesa, in questo momento, rappresenta di fatto l’unica istituzione che si è fatta carico di questa enorme responsabilità. Qui a Filadelfia il Papa, ne sono certo, richiamerà la responsabilità di tutti in questa prospettiva. Ecco perché anche i credenti di altre tradizioni cristiane e di altre fedi e i laici “umanisti”, troveranno questa prospettiva bella e coraggiosa.
Come guardare alle ipotesi dei teologi formulate nei due convegni organizzati dal Pontificio consiglio che Lei presiede, sia riguardo alla riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati, sia sul fronte coniugalità-fecondità-contraccezione?I tre seminari sono stati organizzati per offrire un contributo da parte di teologi, canonisti e moralisti, ai padri sinodali. L’atteggiamento sinodale voluto dal papa Francesco richiedeva che anche i teologi partecipassero alla riflessione. Sarà poi il Sinodo, e infine il Santo Padre, a trarre le conclusioni. Sono convinto che, come disse Gesù ai discepoli, lo Spirito ci condurrà alla verità tutta intera. Lo Spirito in questo tempo sta attraversando robustamente la Chiesa perché trovi nel suo ricchissimo tesoro di sapienza le risposte alle domande, ai problemi, ai sogni, alla aspettative dei fedeli. In ogni caso, non si tratta di cambiare il Vangelo e neppure la dottrina, tutt’altro, ma di capirla più in profondità, legandola a quella storia di salvezza che il Signore non ha mai cessato di guidare.
Siamo sempre nel solco delle catechesi del Papa?Certo, è il Papa che ci invita, quando parliamo di famiglia, a considerarla non in astratto ma in concreto. Non a caso nelle sue catechesi ha iniziato a parlare delle persone che compongono la famiglia: madri, padri, figli, anziani, malati. Queste domande attraversano radicalmente non solo la Chiesa, ma tutta la società. Ne è testimonianza l’eco che le catechesi hanno avuto, anche nel mondo laico. Poi certo, ci sono problemi anche più interni alla Chiesa. Credo che ad esempio la questione dell’accesso all’Eucaristia dei divorziati risposati, richieda una riflessione attenta, evitando chiusure o aperture indiscriminate. C’è un’accoglienza calda che va promossa, perché spesso non viene realizzata. Il primo corpo di Cristo di cui tutti abbiamo bisogno – e chi è ferito ancor più – è il calore umano della comunità. Questi fedeli vanno accolti, ascoltati, accompagnati. Se questo accade sono sicuro che, all’interno appunto del tesoro della Chiesa, si potrà trovare anche qualche pista di soluzione. Papa Francesco nelle sue catechesi ha insistito per l’integrazione di questi fedeli nella comunità cristiana. Non sarà comunque una legge che può realizzare il calore della fraternità di cui hanno bisogno. Sulla stessa scia dobbiamo intendere il problema delle convivenze.
Siamo nel solco della Familiaris consortio e del magistero dei Papi o si deve prospettare una discontinuità?Ma no, questo Sinodo si pone in stretta relazione con il magistero degli ultimi Papi, è un cammino che continua, che cresce, che si allarga. Se non ci fosse stato quel magistero, oggi non saremmo qui a tentare di capire come andare avanti. E si tratta di un cammino che non può essere rallentato e tanto meno bloccato, proprio perché – ed è la fede a dircelo – è lo Spirito che guida la Chiesa. Ecco perché il Sinodo può diventare una nuova Pentecoste per il mondo di oggi, E il Papa, come Pietro, “apre la porta”. La Chiesa è sempre uscita, non in chiusura. Pietro è roccia che sostiene, non muro che si allunga.
Abbiamo accennato a Filadelfia. Come sta vivendo l’esperienza di questi giorni?Come una grande festa della famiglia, una testimonianza forte per tutto il mondo che aiuta a riscoprire quel filo rosso che unisce famiglia e Chiesa di popolo. Non a caso, al termine dell’incontro, l’ultimo gesto del Papa sarà quello di inviare, attraverso sei famiglie provenienti dai cinque continenti (la sesta da Damasco), centomila copie del Vangelo, nelle rispettive lingue a cinque grandi città del mondo e alle città martoriate della Siria. Le città destinatarie di questo messaggio sono L’Avana, Marsiglia, Kinshasa (Repubblica democratica del Congo), Hanoi (Vietnam), Sidney. E poi Damasco e Baghdad. Abbiamo visto l’immagine di una vocazione universale che deve dimorare nel cuore di ogni famiglia. E certamente al termine della settimana di Filadelfia, come al termine dei sette giorni della creazione, il Signore dirà: “E vide che era cosa buona”.