Sono drammatici i numeri che raccontano la crisi umanitaria in
Ucraina a due anni dallo scoppio della guerra, nella regione orientale del Donbass, fra militanti separatisti filorussi e forze governative ucraine. Sono almeno
9mila i
morti causati dal conflitto, 2.500 dei quali sarebbero civili ed a cui si aggiungono 21mila feriti. Il problema più difficile è oggi legato alla situazione di migliaia di persone intrappolate in aree di conflitto, principalmente nelle province di Donetsk, Mariupol, Lugansk e Kharkiv, centri nei quali soprattutto gli anziani e i bambini rimangono spesso senza alcuna possibilità di movimento.
Un’emergenza che ha profondamente colpito il
Papa e che è alla base dell’iniziativa lanciata dallo stesso
Francesco al Regina Coeli dello scorso 3 aprile. Si tratta di «una speciale colletta in tutte le chiese cattoliche d’Europa» in programma oggi. «Questo gesto di carità, – ha aggiunto nell’occasione il Pontefice – oltre ad alleviare le sofferenze materiali, vuole esprimere la vicinanza e la solidarietà mia personale e dell’intera Chiesa». Di qui l’auspicio che tale iniziativa «possa aiutare a promuovere senza ulteriori indugi la pace e il rispetto del diritto in quella terra tanto provata».
La denuncia del
Papa riguarda una situazione sotto gli occhi di tutti, compresi quelli di chi non vuol vedere. I bombardamenti ed i colpi di mortaio hanno distrutto tutte le principali infrastrutture di decine di villaggi nella parte Est del Paese. Mancano così i servizi di base, come ad esempio la distribuzione di acqua corrente, con il 18 per cento della popolazione dell’area priva di accesso idrico, di assistenza medica e di adeguate strutture scolastiche. Oltre il 20 per cento degli edifici ospedalieri dell’area del Donbass è stato distrutto da attacchi militari, così come almeno 100mila residenze abitative e 1.500 chilometri di collegamenti stradali e ferroviari.
«Oggi 3 milioni di persone hanno bisogno di aiuto in Ucraina. Il problema, qui, è che si tratta di una crisi invisibile – spiega Barbara Manzi, capo dell’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari in
Ucraina –. Non ci sono campi profughi, come in altri Paesi, e forse proprio per questo la situazione è ancora più grave e difficile da gestire».
L’
Ucraina è oggi all’ottavo posto mondiale per numero di sfollati, con 1 milione e 700mila persone costrette ad abbandonare la propria casa e ad oggi disperse sul territorio del Paese. Eppure, nonostante questo, la crisi ucraina rimane al momento la meno finanziata dai governi internazionali. Secondo il report pubblicato lo scorso gennaio dalle Nazioni Unite, servirebbero almeno 266 milioni di euro per poter fornire un’adeguata assistenza umanitaria alla popolazione, in gran parte anziani e bambini, oggi in stato di indigenza o bisogno. «A due anni dall’inizio del conflitto – continua Barbara Manzi –, ci sono donne, ragazzi, bambini, di tutte le età, che lottano per andare avanti. L’enorme impatto dei traumi psicologici affrontati, l’interruzione scolastica, i rischi quotidiani legati ai bombardamenti, alle mine, agli attacchi militari, l’impossibilità di vivere in abitazioni consone, di lavorare, di muoversi liberamente, sono tutti elementi che rendono urgente la risoluzione di questa crisi umanitaria».
Più del 50 per cento di quanti sono rimasti bloccata nelle aree del Donbass e della Crimea risultano ad oggi in prioritario bisogno di assistenza medica. Anche in questo caso i numeri sono impietosi e parlano di 30mila pazienti diabetici, 300 malati di cancro, almeno 8mila affetti da Aids ed oltre 500mila bambini a rischio concreto di contrarre la poliomielite, tutti abbandonati senza la possibilità di adeguate cure. A loro si aggiungono, secondo le statistiche fornite dalle Nazioni Unite, 1,1 milioni di persone costrette a sopravvivere in un contesto di completa indigenza, bloccate senza cibo nelle città assediate: è questo il durissimo bilancio di un’emergenza umanitaria radicata nel cuore d’Europa.