mercoledì 25 dicembre 2024
Il racconto del cardinale decano del Collegio dei porporati: il ricordo speciale di quelli del 1975 e del 2000. «Varcare la Porta Santa? Significa liberarci di tutti i nostri pesi»
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Di Giubilei il cardinale Giovanni Battista Re ne ha visti già cinque, da quello del 1950, quando aveva solo 16 anni (ora ne ha 90, benissimo portati, essendo nato infatti a Borno, Val Camonica, diocesi e provincia di Brescia, il 30 gennaio 1934), fino a oggi. Ma mentre si accinge a vivere il sesto, e da un osservatorio privilegiato come quello di decano del Collegio cardinalizio , il suo sguardo è rivolto prevalentemente al futuro. E poche ore dopo l’apertura della Porta Santa dice: «Non lasciamoci sfuggire l’occasione di vivere questo periodo di speciale grazia per fare crescere anche l’energia della Chiesa».

Ecco, eminenza, come si presenta la Chiesa all’appuntamento del Giubileo del 2025?

Più che dare giudizi, io vorrei esprimere un duplice augurio. Prima di tutto, che nessuno voglia escludersi dall’abbraccio del Padre celeste che attende tutti per donarci il perdono. E poi che questo Anno Santo segni un momento di ripresa della fede e del vivere la vita da buoni cristiani. In sostanza che sia un nuovo momento di vivacità della Chiesa, per risvegliare nel mondo i valori spirituali e far crescere la pace, l’onestà, la fratellanza, la giustizia e l’aiuto reciproco.

Come spiegherebbe tutto questo all’uomo della strada, magari a un non credente?

Sottolineerei che dal 1300 il Giubileo è un anno di offerta di perdono da parte di Dio, che nel suo amore misericordioso chiama ogni uomo ed ogni donna a riscoprire Cristo Salvatore, per mettere in ordine gli affari dell’anima e ritornare sulla via del bene. In altri termini è un’opportunità per liberarci dai pesi che ci inquietano e recuperare pace e serenità, dando il via ad un nuovo inizio nella propria vita. Nel nostro tempo, che cerca la felicità, ma spesso per vie sbagliate e che ha perso il senso del peccato, l’Anno giubilare ci aiuta a recuperare l’importanza e il valore del perdono del Padre nei nostri riguardi, ci pone davanti alla verità della nostra vita ed è occasione propizia per saldare le pendenze con Dio, così che, quando busseremo alla porta del Paradiso, questa si spalanchi subito. È inoltre un richiamo a risanare in profondità l’intera società. Il Giubileo infatti ha anche una dimensione sociale.

Quali sono i segni più importanti del Giubileo?

Sono soprattutto tre. Innanzitutto la Porta Santa, che evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato ad una vita buona. Attraversare la Porta Santa esprime la volontà di fare un passo verso Cristo, nostro Salvatore, e il desiderio di incontrarlo. È riconoscere anche che abbiamo compiuto tanti sbagli. Il passaggio per la Porta Santa, alla luce dell’affermazione di Gesù: “Io sono la porta delle pecore, se uno entra attraverso di me sarà salvo”, ha il potere simbolico di richiamare il desiderio di entrare più intensamente, purificati nel cuore, nel mistero di Cristo e del suo amore per noi. E perciò impegna alla riflessione e alla preghiera, perché attraversare la Porta Santa indica un incontro personale e vivo con Cristo.

Il secondo segno è il pellegrinaggio: mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca di qualcuno o di qualcosa. Raggiungere la Porta Santa è un segno del desiderio di raggiungere la meta di ottenere la misericordia di Dio. Camminare per ottenere il perdono di Dio e anche per perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Insomma, non è solo un cammino fisico, ma è anche un viaggio all’interno di se stessi, esaminandosi alla luce del Vangelo. La grande meta dei pellegrinaggi sarà la città di Roma. Ma l’indulgenza giubilare si potrà acquisire in ogni diocesi del mondo. Il Papa ha disposto che l’Anno Santo sia celebrato in tutte le Chiese locali, andando in pellegrinaggio sia alla chiesa Cattedrale sia a quelle chiese e santuari indicati da ogni vescovo, nell’ambito della propria giurisdizione, come mete dei pellegrinaggi giubilari.

Il terzo segno è proprio l’indulgenza, che è il fine principale del pellegrinaggio giubilare.

Sappiamo che in passato l’indulgenza ha creato tanti problemi. Oggi qual è il suo valore?

Depurata da tempo dagli aspetti esteriori e per così dire “commerciali”, è un momento di grazia speciale. I peccati infatti hanno bisogno soprattutto del perdono di Dio, ma poi anche di una purificazione, da attuare quaggiù, oppure, dopo la morte, nel Purgatorio. L’assoluzione sacramentale nella confessione toglie la colpa e ridà l’amicizia con Dio, ma rimane il dovere della purificazione dell’impronta negativa lasciata dal male compiuto e di una riparazione. Ecco l’indulgenza, mediante la quale noi attingiamo dal tesoro della Chiesa, cioè dai meriti acquistati da Cristo, dalla Madonna e dai Santi. L’indulgenza si può ottenere una sola volta al giorno e può essere applicata anche per i nostri cari defunti aiutandoli nel loro processo di purificazione.

Il Papa ha fissato la speranza come tema per il Giubileo. Che significato ha questa scelta?

Sì, il bel tema della speranza. La speranza che non delude, perché fondata sulla fede in Dio e sul suo amore per noi. Stiamo vivendo un momento drammatico in cui infuria l’incendio delle guerre con morte e distruzione. Il Papa invita ad affrontare le difficoltà con coraggio e a tenere accesa la fiaccola della speranza così da guardare al futuro con fiducia, confidando nell’aiuto di Dio. E infatti, per camminare in avanti c’è bisogno della speranza. Ecco allora il messaggio che il Papa lancia a tutti: essere pellegrini di speranza.

Lei ha vissuto cinque Giubilei. Ci sono dei ricordi che le sono rimasti impressi?

Ricordo il Giubileo del 1975, che Paolo VI impostò sui temi del rinnovamento e della riconciliazione con Dio e con i fratelli. Dopo il periodo della contestazione, quell’Anno Santo segnò una ripresa della vita cristiana e una maggiore attenzione ai valori cristiani nella società.

E il Grande Giubileo del 2000?

Per papa Giovanni Paolo II rappresentò la realizzazione di un grande sogno: quello di introdurre la Chiesa nel terzo millennio. Tre momenti mi colpirono in modo particolare. La novità di una “Porta Santa ecumenica” nella Basilica di San Paolo, che il 18 gennaio dell’anno 2000 fu aperta da sei mani che spingevano: quelle del Papa, del Primate anglicano John Carey e del Metropolita ortodosso Athanasios, con la presenza dei rappresentati di ben 22 Chiese e comunità cristiane in tutto il mondo. Commovente fu il pellegrinaggio dei giovani, che culminò con l’incontro a Tor Vergata di due milioni di ragazzi, venuti da 159 Paesi. Infine vorrei ricordare l’unico viaggio internazionale del Papa durante quell’Anno Santo: in Terra Santa, dove incontrò ovviamente non solo gli israeliani, ma anche i palestinesi che si erano riuniti a Betlemme. Fra i tanti momenti commoventi (in particolare quelli al Cenacolo e al “Muro del pianto”) rimangono vive nella mia mente le parole pronunciate da papa Wojtyla nella visita al monumento in Gerusalemme che ricorda la Shoah. Sotto quella cappa di cemento, disse con una energia incomparabile: “Ma come è possibile che degli uomini abbiano potuto giungere fino a voler uccidere tutto un intero popolo, il popolo ebreo?”. E la risposta a questo interrogativo fu: Hitler e i nazisti hanno disprezzato Dio. Quando si elimina Dio, quando non ci si sente responsabili davanti a Dio, non si hanno più principi che guidano la vita e si finisce col giungere a questo estremo di barbarie. Speriamo che tutto questo non si ripeta mai più.

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