giovedì 30 dicembre 2021
Stare davanti al sacro telo è un invito a fare silenzio, a interrogarsi su chi e cosa vogliamo essere
L'arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, durante la preghiera in Duomo davanti alla Sindone, organizzata per l'Incontro europeo dei giovani di Taizé

L'arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, durante la preghiera in Duomo davanti alla Sindone, organizzata per l'Incontro europeo dei giovani di Taizé - Ansa

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Stare davanti alla Sindone è uno schiaffo, è una carezza. Il mondo fuori si spegne, tace anche il brulichio dei tuoi sogni sempre di corsa. Perché davanti all’uomo dei dolori l’unico linguaggio possibile è il silenzio, quello vero, bello, pieno. Non assenza di parole ma vocabolario del cuore, che si insinua dentro desideri e paure troppo profonde per poterle dire.

Forse non bastano neanche le formule di preghiera, lasci che ad ascoltare e raccontarti siano gli occhi, come al mattino dopo una notte insonne, con la faccia stropicciata per la lotta contro il buio notturno. Ed è davvero un risveglio, abbandoni il tepore del superfluo e ti immergi nell’incertezza fredda dell’essenzialità, delle domande che contano davvero.

Come davanti a uno specchio che non si limita a riflettere ma ti invita a sovrapporre le tue piccole grandi prove all’immensità della sofferenza patita dal corpo impresso sul telo, rimando, autentico o no che sia, alla Passione di Gesù raccontata dai Vangeli.

Una mappa che disegna tutta l’angoscia, tutto il dolore innocente inflitto nei secoli all’uomo, a ogni uomo. Ecco i piedi, ecco i polsi in cui piantarono i chiodi, ecco la corona di spine, casco di sangue e insieme terribile insulto, stupida, arrogante ironia.


Possiamo leggere nell’uomo dei dolori solo il segno della sofferenza più terribile e ingiusta oppure vedere un richiamo alla luce della salvezza e della risurrezione, come insegna la Passione di Gesù raccontata dai Vangeli

Pensarci è uno schiaffo, fa capire l’enormità del tempo che hai perso, ti costringe a mandare a processo, davanti a un giudice molto severo, cioè te stesso, le situazioni in cui pure tu hai ceduto al fascino della superiorità, all’illusione del dominio su chi era più debole. Il nostro peccato è voltare lo sguardo davanti al povero, è giustificare l’indifferenza, è lasciare indietro un amico per un po’ di carriera e di denaro. È commuoversi a Natale davanti allo stesso senza dimora che vedi ogni altra mattina e allunghi il passo.

Invece quel viso di lino ti costringe a fermarti, ti blocca il respiro, amplifica il battito del cuore fino a renderlo musica, sobria e solenne insieme, da non poterla ignorare. E a maggior ragione non puoi evitare lo sguardo, sereno e pacificato malgrado le torture, che ti chiede chi sei, cosa vuoi diventare, a quale tirannia, di apparenza, di successo, di potere, intendi affidare il dono della libertà.

Ma è una domanda formulata senza rabbia, con dolce insistenza, come la carezza di chi ti vuol bene mentre tu appoggi il capo e confessi che non sai più dove andare e se ci sia ancora una strada. La risposta, suggerisce la Sindone, è nella morte che apre le porte alla Risurrezione, nel più bistrattato e insieme più forte degli uomini, nell’odio trasformato in misericordia.

Nell’icona del Sabato Santo, per usare un’immagine di Benedetto XVI, cioè nel silenzio, in un buio come mai prima, antifona a una sinfonia di gioia anch’essa senza paragoni. Il difficile in fondo sta proprio lì, nel leggere il dolore, la sofferenza alla luce della salvezza, nel vedere il trionfo dove il mondo grida sconfitta, nel capovolgere la classifica dei grandi, così da mettere in testa i piccoli, gll ultimi.

Vuol dire che se sia schiaffo o carezza dipende da noi. Il telo che secondo la tradizione ha avvolto il corpo di Gesù deposto dalla croce è una mano aperta. Diventa vicinanza, incoraggiamento, lingua dell’amicizia se gli stiamo davanti con sincerità, senza arroganza. Esprime durezza quando nel buio della sofferenza vediamo solo disperazione e non il sentiero che porta alla compassione, al perdono. O forse no, forse è proprio quando perdiamo la strada che l’uomo dei dolori ci è più vicino, è quando ci sentiamo più soli che il suo sguardo d’amore ci avvolge. E la mano si apre in una carezza.


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