sabato 17 ottobre 2015
L’arcivescovo di Vienna: la bussola è Gesù, in lui c’è giustizia e misericordia.
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«Non è un Concilio, non è un parlamento, ma un Sinodo di particolare natura». Con queste parole, riecheggiate da papa Francesco lo scorso 5 ottobre all’apertura del Sinodo sulla famiglia, Paolo VI introduceva i lavori del Sinodo del 1974 e ne dava una definizione precisa. Il Sinodo «è un’istituzione ecclesiastica, che noi, interrogando i segni dei tempi, e ancor più cercando di interpretare in profondità i disegni divini e la costituzione della Chiesa cattolica, abbiamo stabilito dopo il Concilio Vaticano II, per favorire l’unione e la collaborazione dei vescovi di tutto il mondo con questa Sede Apostolica...». Nel Sinodo straordinario dei vescovi del 1969 evidenziava ancora come questa istituzione non era rivolta «a produrre rivalità di potere, o difficoltà di ordinato ed efficace governo nell’interno della Chiesa, ma a una mutua propensione del Papa e dell’episcopato a maggiore comunione e ad organica collaborazione». È certamente significativo che proprio nel mezzo dell’iter del Sinodo in corso si siano voluti commemorare i 50 anni di questa istituzione. Il cardinale di Vienna, Christoph Schönborn, apre oggi questo incontro alla presenza del Papa con una relazione sull’anniversario e con lui parliamo di questa circostanza alla luce del presente Sinodo.Eminenza, come è stata concepita da Paolo VI questa istituzione? Paolo VI desiderava da una parte che l’esperienza positiva del Concilio potesse continuare e dall’altra dare espressione alla collegialità dei vescovi. Egli pensava che la collegialità tra i vescovi, affermata dal Concilio Vaticano II, potesse vivere ed avere espressione nella modalità di un synodos, cioè di un andare insieme con il Papa per aiutarlo nel suo ministero di Supremo pastore e che questo potesse favorire al tempo stesso la vicinanza tra i vescovi vissuta durante il Concilio. Il Sinodo perciò, sorto dalla dottrina e dallo spirito del Concilio, ne riflette lo spirito e il metodo… Sì e no. Ne riflette lo spirito perché ha come referenza la comunione ecclesiale: da essa scaturisce e ad essa conduce, per cui l’istituzione del Sinodo va pensata in rapporto a questa reciproca comunicazione. Ma è chiaro dall’inizio che il Sinodo non è un Concilio perché non ha potere decisionale. È un organo, uno strumento per consigliare il Papa nel suo ruolo di Pastore della Chiesa. Anche se le regole del processo sinodale dicono che se il Papa vuole, può dare al Sinodo, in determinati momenti, potere deliberativo.In questo Sinodo si è discusso molto del metodo di svolgimento. Perché la metodologia ha destato tanta attenzione?Synodos e méthodos sono due parole molto vicine. Syn-hodos vuol dire cammino comune e méthodos vuol dire cammino per raggiungere una meta. Dunque la questione è questa: quale metodo dobbiamo scegliere per fare un buon Sinodo? Per questo fin dall’inizio c’è stata discussione sulla metodologia. In questi cinquant’anni ci sono stati parecchi miglioramenti sul metodo di svolgimento del Sinodo. E perché è una questione così importante? Perché non è neutra la metodologia. Questa può favorire o sfavorire l’espressione della collegialità effettiva ed affettiva, come dice il Vaticano II. Già Benedetto XVI ha fatto passi per migliorarla e favorire un vero dibattito tra i membri del Sinodo. Papa Francesco è andato avanti. Ha scelto una metodologia ancora molto più sinodale, come dimostrano questi due sinodi successivi. Per permettere che sia veramente un cammino comune ha cominciato con il Concistoro dei cardinali e ha coinvolto con i questionari praticamente tutta la Chiesa. E poi ha fatto un’altra cosa importante. A che si riferisce?Dividendo in tre parti il documento-base e ripartendolo sulle tre settimane del Sinodo ha dato una aggiunta sostanziale al lavoro dei Circoli minori. Questo cambiamento permette una più grande libertà di espressione ed anche un coinvolgimento più ampio nel lavoro. Si è visto già in queste due settimane che la partecipazione è molto più intensa. Da fuori tuttavia si è parlato di contrasti, ostacoli, blocchi… Non ci sono stati?In tutti i Sinodi che ho visto è sempre stato lo stesso. I media hanno fatto partiti. La legge dei media ha bisogno dei partiti.E all’interno?Il Papa ci ha detto di parlare con franchezza e ascoltare con umiltà. E questo è un buon cammino. Se ci sono punti di vista diversi anche contrastanti questo non è un problema. C’è un clima veramente aperto dove non si nascondono i punti di vista e le opinioni. Secondo lei a che cosa porterà questo cammino?Certamente un rinnovamento della pastorale. Il Sinodo non è un organo del magistero. Non è magistrale perché la dottrina è già definita, è chiara. Lo scopo di un Sinodo, così come è stato concepito nella mens di Paolo VI, è di mettere in pratica le riforme del Vaticano II. Di mettere in pratica le grandi intuizioni, le grandi decisioni del Vaticano II. E dunque è molto più orientato verso la prassi, verso la pastorale.  Questo vuol dire che c’è una differenza tra pastorale e dottrinale? No. C’è complementarietà. La dottrina è la bussola. La dottrina è anzitutto la dottrina di Gesù. Dunque non può esserci sostanzialmente un contrasto. In Lui giustizia e misericordia sono uno. Nel cristianesimo la dottrina è una Persona, Cristo, e la prassi è seguire questa Persona.
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