«Noi rimaniamo fedeli alla tradizione scientifica secondo la quale l’indagine del fenomeno politico non può essere esaurito senza residui da una sola disciplina scientifica. Concorrono alla comprensione della politica gli studi storici, quelli filosofici, quelli giuridici e quelli socio-economici». Le parole di Francesco Vito, già preside di Scienze politiche e poi rettore dell’Università Cattolica, risalgono agli anni Sessanta, ma appaiono quanto mai attuali. Lo sa bene il preside di Scienze politiche e sociali, Guido Merzoni, che ha raccolto l’eredità di illustri predecessori, tra cui, oltre al già citato Vito, Michele Boldrini, Gianfranco Miglio, Alberto Quadrio Curzio, a cui si aggiunge Michele Colasanto che guidò la facoltà di Sociologia.
Oggi il preside declina le parole di Vito con tre termini: «Interdisciplinarietà, internazionalizzazione ed esperienza di relazioni». Fili rossi che percorrono i corsi di studi proposti dalla facoltà, che, ricorda il preside, «pone le sue radici nel 1921, l’anno di fondazione dell’ateneo visto che accanto a quella di Filosofia venne attivata la facoltà di Scienze sociali, anche se non ottenne il riconoscimento giuridico dallo Stato italiano, che giunse solo anni dopo».
Anche Scienze politiche e sociali si trova in prima linea nel cambiamento d’epoca che la società e la politica - nazionale e internazionale - stanno vivendo. E l’interesse verso questo percorso «è crescente, come dimostra l’aumento dei nostri iscritti, a cui abbiamo risposto anche con un potenziamento della nostra offerta formativa, attivando, ad esempio, anche due corsi di laurea insegnati in lingua inglese» sottolinea il preside. Ma è proprio questo scenario «in continuo mutamento che ci ha convinto sempre di più a proseguire sulla via della interdisciplinarietà» spiega Merzoni. Di questa «necessità» parla anche Damiano Palano, direttore del dipartimento di Scienze politiche. «Occorre studiare in modo dinamico – spiega – e serve osservare il fenomeno che si studia sotto diversi aspetti. Non solo questo. È sempre più evidente che parlando di 'politica' nessuno può ragionare solo a livello nazionale, e anche la separazione tra pubblico e privato è diventata sempre meno netta. Persino i nostri studenti non hanno come obiettivo primario quello della politica in senso stretto, ma ampliano il loro sguardo». Ecco allora la necessità di fornire accanto «a una solida preparazione di base – chiosa il preside –, anche strumenti flessibili per interpretare al meglio il presente».
1926
nasce la scuola di Scienze politiche, economiche e sociali, che si stacca da Giurisprudenza, diventando facoltà nel 1931. Nel 1936 diventa autonoma
3.222
sono gli iscritti complessivi alla facoltà di Scienze politiche e sociali, che è presente nella sede di Milano e in quella di Brescia. (Dati al 30 aprile 2021)
12
sono i Centri di ricerca con sede a Milano. Tre sono in collaborazione con le facoltà di Giurisprudenza (2, di cui uno coinvolge anche Economia) e di Scienze bancarie (1)
Tra questi strumenti coltivare l’aspetto dell’internazionalizzazione è fondamentale. «Aver scelto di fornire alcuni corsi in inglese – spiega Mario Maggioni, direttore del dipartimento di Economia internazionale delle Istituzioni e dello sviluppo – non intende solo dare una preparazione internazionale agli studenti italiani, ma è anche un’opportunità per studenti stranieri che vogliano
venire a studiare in Italia. È la copresenza di questi due gruppi nella classe l’arma vincente, perché tutti possono ricevere grazie alla condivisione non solo di informazioni di prima mano su altre realtà, ma anche di culture diverse e a volte lontane. È una bella sfida anche per noi docenti». Di certo offre a tutti la possibilità di un approccio realistico sui temi d’attualità. Insomma è anche in questo che si gioca uno dei fili rossi della facoltà: l’esperienza delle relazioni. «È alla base della nostra filosofia – spiega Rita Bichi, coordinatrice del corso di laurea in Sociologia –. Al centro di tutto ciò che facciamo ci deve essere la persona. E quanto sia importante questa esperienza lo abbiamo sperimentato nel tempo della pandemia che ci ha fatto stare a distanza».
Un’esperienza di relazione duplice: «Da una parte tra noi docenti – continua Bichi – in cui scambiarsi opinioni, consigli e idee. Dall’altra tra docenti e studenti, ma anche tra gli stessi studenti nei lavori di gruppo. Del resto il saper lavorare assieme agli altri, il sapersi relazionare con gli altri è un requisito sempre più richiesto nel mondo del lavoro per il quale loro si stanno preparando». Ma padroneggiare la comunicazione, conoscerne tutti gli aspetti - positivi e negativi - è un altro elemento da mettere nel bagaglio degli studenti di Scienze politiche e sociali. Lo spiega bene Patrizia Catellani, coordinatrice del curriculum di laurea magistrale in Comunicazione per le organizzazioni e le imprese: «Comunicare è a suo modo un potere. Si può influenzare, ma anche essere influenzati. Con l’aumentare dei social questi fenomeni sono cresciuti. A mancare nella gran parte dei casi è la consapevolezza delle informazioni che diamo alla rete e che questa a sua volta può utilizzare». Eppure «il male» non sta nella rete, «bensì nel modo con cui si può utilizzare. Nei nostri corsi cerchiamo di sviluppare gli usi 'buoni' – aggiunge Catellani –. Insomma usare i social per buoni fini e migliorare il loro comportamento in modo positivo».
Del resto il «bene comune è uno dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, che è parte integrante dei nostri insegnamenti» spiega il preside Merzoni. Non a caso per il Centenario la facoltà ha scelto tre parole chiave: politiche, potere e popolo. «L’attenzione alle politiche esprime la consapevolezza della necessità di governare i processi nei sistemi sociali, economici e po-litici, che non si autoregolano – aggiunge – . Per farlo occorre applicare il principio di sussidiarietà, altro elemento della Dottrina sociale della Chiesa. Non tutto deve essere gestito e promosso dallo Stato o dalle Istituzioni, ci deve essere anche spazio per l’iniziativa delle comunità, della società civile, capace di dare risposte ai bisogni che man mano si evidenziano sul territorio».
Nella parola 'potere' si colloca «la possibilità di governare questi processi verso il bene comune - già citato - e la solidarietà, soprattutto oggi che sembra prevalere il potere economico su quello politico, e la sua concentrazione in molti casi nelle mani a di persone fisiche, inquieta. È dunque necessaria una riflessione sulla governance globale, che, rispetto al passato, sembra aver perso interesse presso la società ». Entra così in gioco il 'popolo', che «è titolare della sovranità e deve diventare non solo destinatario delle politiche, ma protagonista del come orientarle».
Questa coscienza di popolo, però, «va ricostruita – avverte Merzoni – visto che da tempo assistiamo al fenomeno dello sfarinamento del popolo e la progressiva affermazione dell’individualismo ». Sfide e scenari complessi e in rapida evoluzione, «a cui non è facile dare risposte chiavi in mano, anche perché i problemi non sono disciplinari. Ecco che il nostro obiettivo è quello di formare un professionista competente e preparato, con basi solide, ma anche con la capacità di leggere gli eventi con uno sguardo globale, e da qui immaginare un percorso per trovare una soluzione ». Un compito al quale la facoltà di Scienze politiche e sociali della Cattolica intende continuare a restare fedele anche nel suo futuro, mantenendo quanto mai attuali quelle parole pronunciate da Francesco Vito (citate in apertura del pezzo) mezzo secolo fa.