Il videocollegamento tra il Papa e Kirill il 16 marzo scorso - Vatican Media
Spesso le parole, i discorsi vanno oltre quel che dicono. Bisogna recuperarne la radice, intercettare i loro punti di partenza e gli obiettivi, spesso taciuti, che si prefiggono. Una regola che a maggior ragione vale nella diplomazia e in quel terreno scivoloso che è il dialogo tra la fedi. Così non sorprende che, malgrado le grandi distanze di approccio e di riflessioni sulla guerra, si torni a parlare di un incontro tra il Papa e il patriarca ortodosso russo Kirill. In particolare ne ha fatto cenno domenica scorsa il metropolita Hilarion. Parlando al canale televisivo Russia 24, infatti, il presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca ha spiegato che l’appuntamento è «in preparazione» e che si spera possa svolgersi entro l’anno. «Andava già in questa direzione l’incontro virtuale del 16 marzo – spiega don Stefano Caprio, docente di Storia e cultura russa al Pontificio Istituto orientale di Roma – che anziché una semplice telefonata è stata una videoconferenza cui hanno partecipato i rappresentanti delle “strutture ecumeniche” delle due Chiese: il cardinale Koch e lo stesso Hilarion». Vuol dire che si intende far proseguire il dialogo ai massimi livelli. «Il segnale può essere interpretato in vari modi – aggiunge Caprio –. Da un lato la Santa Sede è disposta a tenere aperta ogni possibilità di proporsi come mediatrice nelle trattative di pace. Dall’altro il patriarcato, pur dicendosi coinvolto nella guerra che il presidente Putin ha iniziato anche per motivi storici, culturali, persino religiosi, vuole mantenere un proprio profilo di dialogo, almeno con i cattolici».
I rapporti intraortodossi invece risultano sempre più complicati, tanto che non è difficile prevedere che, a prescindere dagli esiti del conflitto, la frattura tra la Chiesa ortodossa russa e quella ucraina legata al patriarcato di Mosca sia destinata ad allargarsi. «Si tratta di un aspetto eclatante perché la parte ucraina del patriarcato di Mosca è molto importante sia per il numero di sacerdoti e parrocchie che per l’intensità della pratica dei fedeli. E nella stessa Russia molti preti sono di origine ucraina». Peraltro una certa presa di distanza non è di oggi. «La Chiesa ortodossa ucraina in comunione con Mosca era già autonoma a livello amministrativo, non dipende direttamente dal patriarcato. Una scelta fatta negli anni 90 del secolo scorso quando il metropolita Filarete si autonominò patriarca chiedendo l’autocefalia, poi realizzatasi nel 2018 con il riconoscimento da parte del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. Allora la componente ucraina rimasta fedele a Mosca, nel confermare questa posizione chiese una maggiore autonomia. Di fatto il metropolita di Kiev, oggi Onufrij, non viene nominato da Mosca ma eletto dai vescovi ucraini, partecipa al Sinodo patriarcale ma non ne ha dipendenze amministrative». Ciò non toglie che una separazione avrebbe delle gravi conseguenze. «Il patriarcato di Mosca perderebbe metà dei suoi fedeli e poiché la Chiesa ortodossa russa con la componente ucraina rappresenta la maggioranza dell’ortodossia mondiale, perdendola scenderebbe molto al di sotto del 50%». Si proverà a ricucire questi rapporti. «Non sarà per niente facile perché tra ucraini e russi resterà un’ostilità tremenda e il resto dell’ortodossia mondiale, se prima era un po’ in sospeso, adesso in larga maggioranza si schiererà contro i russi».
Tornando al possibile incontro tra il Papa e Kirill, se si realizzerà sarà a dispetto dei loro discorsi. Sulla guerra le posizioni sono agli antipodi. Francesco la condanna senza appelli, il patriarca in qualche modo l’ha benedetta. «Posizioni molto distanti, certo, ma che lasciano spazi al dialogo. Il Pontefice per esempio cerca di non nominare troppo la Russia mentre il patriarca chiede la pace, intendendola però dal punto di vista di Mosca, cioè in modo molto diverso dal Papa». Eppure lei ritiene che Kirill sia personalmente contrario alla guerra. «L’ho detto perché lo conosco dagli anni 80 e lui pur venendo dalla scuola del Kgb come tutti i sacerdoti al tempo dell’Unione sovietica, è una persona molto aperta all’Occidente, al dialogo». Però c’è stato il famoso sermone del 6 marzo in cui presentava la società occidentale come patria del male e della falsa libertà. «Bisogna ricordare che quell’omelia arrivava dopo dieci giorni dall’inizio della guerra di silenzio assoluto. E, andando più indietro, non si deve dimenticare che nel 2014 quando Putin annunciò l’annessione della Crimea, Kirill non l’aveva appoggiato, anzi non era neanche andato al discorso solenne tenuto dal presidente. Era contrario, tanto che non si è annesso la Crimea dal punto di vista ecclesiastico: per la Chiesa ortodossa la Crimea dipende ancora da Kiev. Kirill non è sulla stessa linea radicale e aggressiva di Putin. Forse l’omelia è stata fatta sotto pressione ma anche per richiamare quell’ideologia che ha le sua radici nell’ortodossia storica che indica nella Russia il popolo che salva il mondo dall’anticristo, da tutti i mali, compreso quello dell’immoralità, che nei testi medievali diventava la sodomia. Il discorso scioccante sulle parate gay era in realtà una citazione». La posizione del clero russo oggi è molto frastagliata. «All’interno del Paese ci sono sacerdoti e i monaci dei grandi monasteri su posizioni molto più radicali, da sempre schierati sul fronte della guerra apocalittica, ma anche preti e vescovi più liberarli e aperti a dialogo. Kirill cerca di barcamenarsi»..
Tra gli aspetti nuovi, almeno apparentemente, della crisi, c’è l’emergere di una critica alle posizioni di Kirill proveniente dall’interno della Chiesa ortodossa russa. Si pensi ai 300 tra sacerdoti e diaconi che in una lettera aperta hanno chiesto la fine della guerra. «Una minoranza più liberale esiste da sempre in Russia ma è emarginata. 300 sacerdoti, alcuni anche importanti, su oltre 20mila non sono una grande cifra, e poi si trovano in una specie di recinto, è noto in quali parrocchie e istituti religiosi si trovino ma da lì non possono uscire». C’è stata anche la protesta dei teologi. «Sì, ma vivono tutti all’estero. Denunciano come questa variante dell’ideologia storica dell’ortodossia che salva il mondo, chiamata del “mondo russo” del “russkii mir” di Putin sia un’eresia, che fa riferimento all’etnofiletismo. Cioè il nazionalismo condannato da Costantinopoli nell’800 quando con il disfacimento dell’Impero ottomano nascevano i nuovi patriarcati nazionali. E qui si arriva addirittura all’etnoimperialismo del mondo russo, del “russkii mir”. La discussione va avanti da anni ma adesso ha assunto una posizione più radicale. Vedremo dove porterà».