È un segno dei tempi che anche l’intera ecumene dell’Ortodossia, vincendo antichi timori e livori, si riunisca il prossimo giugno a Creta, nel cuore di un Mediterraneo ormai emblema di lacerazioni. E che dia prova concreta anche al valore collante di quella sinodalità nella comunione di fede e dottrina che, nelle rispettive differenze, tiene uniti da duemila anni. Il summit sul Lago di Ginevra dei Patriarchi delle Chiese Ortodosse conclusosi giovedì scorso ha stabilito i temi da affrontare nel tempo presente che faranno parte dell’agenda del Concilio panortodosso, tra cui le relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano. E segno dei tempi è la vicinanza per la riuscita del Grande Concilio espressa dalla Santa Sede e dal Vescovo di Roma. La Chiesa di Roma oggi segue e accompagna in amicizia e spirito di fratellanza il processo in cui sono coinvolte le Chiese sorelle ortodosse. Papa Francesco, come abbiamo visto, continua a tessere una rete di rapporti al plurale, non solo con i big Kirill di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli, ma con ciascuna delle Chiese sorelle, comprese le più piccole, e con i loro singoli Primati, manifestando così un approccio pienamente consono alla ecclesiologia sinodale ortodossa.
E se i contatti e le parole con il Patriarcato di Mosca rivelano una relazione sempre più stretta, i rapporti costanti del Successore di Pietro col "fratello Bartolomeo", Successore di Andrea, continuano ad avere gesti e manifestazioni intense di piena sintonia spirituale e desiderio di unità nel solco indicato dal Concilio Vaticano II. Quelli che lo stesso Vescovo di Roma ha espresso nella lettera inviata al Patriarca ecumenico Bartolomeo in occasione dell’ultima festa patronale di sant’Andrea il 30 novembre scorso come presa d’atto e di consapevolezza da condividere con tutte le Chiese dell’Ortodossia, e cioè che tra cattolici e ortodossi oggi «non vi è più nessun ostacolo alla comunione eucaristica che non possa essere superato attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità».
Su questa stessa lunghezza d’onda si svolge la tessitura dei rapporti con le Chiese della riforma. In particolare con i luterani. Mutue e costanti relazioni che nell’arco di cinquant’anni hanno portato, al termine della trascorsa tradizionale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, all’annuncio dello storico atto di congiunta commemorazione per i cinquecento anni della Riforma, che per comune volontà sarà celebrato a Lund, in Svezia il prossimo 31 ottobre. E questo non è che il passo più recente di un grande processo avviato. In una visione incentrata soprattutto sulla realtà dell’"ecumenismo in cammino", si tratta di gesti, parole e incontri all’insegna del coraggio e della speranza, della pazienza e del sentire comune, che hanno fin qui segnato l’iter di Francesco con le diverse Chiese dei battezzati in Cristo e che si ripeteranno con iniziative e numerosi incontri ecumenici anche nel prossimo futuro, mostrando come egli aveva annunciato e promesso all’inizio del suo pontificato, che l’impegno ecumenico fa parte delle priorità del suo ministero. Anzi, in assoluta continuità con i suoi predecessori nel ministero petrino, da Giovanni XXIII e dal Concilio in poi, egli esercita un primato ecumenico e lo fa nella convinzione che la dimensione del dialogo ecumenico sia un aspetto essenziale nel ministero del Vescovo di Roma, di colui che "presiede nella carità", «tanto che oggi non si comprenderebbe pienamente il servizio petrino senza includervi questa apertura al dialogo con tutti i credenti in Cristo», come espresso nell’omelia dei vespri nella solennità della Conversione di san Paolo apostolo, il 25 gennaio 2014.
L’agire di Francesco ha risvegliato il cuore dell’approccio ecumenico, quello contenuto nella Unitatis redintegratio e che coincide con il processo di riforma della Chiesa e quindi anche del papato che è suggerito al numero 6 del decreto sull’ecumenismo: «Siccome ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità. Se dunque alcune cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica e anche nel modo di enunziare la dottrina – che bisogna distinguere con cura dal deposito vero e proprio della fede – sono state osservate meno accuratamente, a seguito delle circostanze, siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine. Questo rinnovamento ha quindi una importanza ecumenica singolare». Quindi – come è stato osservato – secondo il Concilio, ecumenismo e riforma della Chiesa vanno mano nella mano. Nessuno ignora che, dal Concilio in poi, questo rinnovamento è stato centrale per la vita della Chiesa cattolica. Esso è la chiave di lettura del magistero dei Papi che si sono succeduti da allora. È stato l’obiettivo dei molteplici cambiamenti introdotti nella liturgia, nella legislazione canonica, nella prassi pastorale.
Tuttavia, emerge sempre più chiaramente che, per quanto fatto, molto rimane ancora da fare perché l’impulso di grazia costituito dal Concilio dia tutti i suoi frutti riformatori. Ed è convinzione comune che, sotto la guida di Papa Francesco, si è registrata una notevole accelerazione di passi concreti verso la piena attuazione della visione ecclesiologica conciliare. In questo orizzonte conciliare si ascrive dunque la visione ecumenica di Francesco, compiuta nella carità e nella verità. Egli ha riportato alla coscienza comune – non solo quindi come occupazione degli specialisti – il desiderio dell’unità. Ha risvegliato la coscienza del dolore della divisione, delle ferite che ci siamo inferti reciprocamente e abbiamo inferto ad altri e in definitiva a Cristo stesso, nella consapevolezza che la divisione dei cristiani è un peccato e uno scandalo evidente che va a scapito della testimonianza resa al Vangelo di Cristo, come è detto chiaramente nella Unitatis redintegratio. Ha rimesso in luce come il dialogo ecumenico non sia una disputa ma uno "scambio di doni" – come lo ha definito da Giovanni Paolo II – con i quali arricchirsi gli uni gli altri e dai quali dobbiamo imparare. E che nel comune battesimo che unisce i cristiani essi possono insieme promuovere la pace e la giustizia, la dignità umana: «Noi cristiani possiamo annunciare a tutti la forza del Vangelo impegnandoci a condividere le opere di misericordia corporali e spirituali. Questa è una testimonianza concreta di unità fra noi cristiani: protestanti, ortodossi e cattolici». Ed ha ribadito come il cammino ecumenico si fondi sul fatto che «ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci separa» e come proseguire il dialogo nella carità, nella verità, nell’umiltà, può aiutare a «superare gli ostacoli che restano alla piena comunione».
Francesco dunque non è il promotore di un ecumenismo "a cavallo", frutto di galatei ecumenisti, diplomazie o strategie di politica ecclesiale. I gesti fin qui compiuti, che si iscrivono nella tradizione dei Pontefici precedenti, traducono nella vita concreta una delle convinzioni fondamentali del decreto conciliare Unitatis redintegratio, che è questa: «Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione», conversione che non è primariamente quella degli altri, ma è la propria. Da qui la richiesta di perdono innanzitutto a Dio per il male delle divisioni che hanno condotto all’oscuramento del Vangelo, e ciò comporta di conseguenza non il bacchettare sulle differenze ma la disponibilità di riconoscere in maniera autocritica i propri errori e di ammettere con umiltà i propri peccati e quindi di chiedere perdono agli altri, come ha espresso nell’ultima omelia dei Vespri alla Basilica di San Paolo. Prima di un andare verso l’altro, l’ecumenismo è un andare verso Cristo, è convertirsi, andare «verso i sentimenti del Suo cuore», conformarsi ai Suoi sentimenti, affinché tutta «la nostra esistenza sia coerente con il Vangelo che annunciamo». L’ecumenismo che ci chiama in causa per primi è il cammino di una ricerca condivisa della volontà di Cristo, un processo di guarigione e di riconciliazione ed implica una riforma interna svincolata da ogni autosufficienza e autodifesa preconcetta. È perciò andando avanti su questa strada che si può riscoprire l’unità: «L’unità non verrà come un miracolo alla fine, viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino, camminare insieme è già fare l’unità», ha detto Francesco nell’omelia dei Vespri a chiusura della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ai cattolici e a tutti i cristiani è perciò richiesto di «pregare insieme così da chiedere di poter essere tutti rivestisti dei sentimenti di Cristo, per poter camminare verso l’unità da Lui voluta». E di tale ecumenismo della conversione e dell’Amore Papa Francesco dimostra oggi di essere un credibile protagonista.