«La mia speranza per il dopo-Sinodo? Spero in una Chiesa che sappia aprirsi all’ascolto, in modo costante, senza differenze tra famiglia e famiglia, con uno sguardo di simpatia e di fraternità per tutti». Monsignor Philippe Bordeyne è rettore dell’Istituto Cattolico di Parigi, teologo tra i più noti in Francia e non solo. Al Sinodo figura tra gli esperti, come collaboratore del Segretario speciale.
Se dovesse tratteggiare un’immagine di Chiesa modellata sugli auspici che stanno emergendo al Sinodo, come la immaginerebbe?Grande questione, direi decisiva. In Francia abbiamo vissuto recentemente il Sinodo diocesano di Parigi. Tutte le realtà diocesane erano rappresentate. Un’esperienza positiva di collegialità. Davvero confortante. Ecco, spero che la Chiesa modellata da questo Sinodo sia soprattutto una comunità che sa ascoltare, al di là delle diverse convinzioni. In questi giorni, nell’Aula sinodale, noi rappresentiamo Chiese molto differenti, eppure quando riusciamo ad andare al di là delle apparenze, le diversità sfumano e si annullano.
Forse non del tutto, perché almeno a guardare da fuori, appaiono con qualche evidenza posizioni non facilmente conciliabili. Condivide questa immagine?Nei Circoli minori sono in un gruppo anglofono. Ci sono vescovi e cardinali di varia età e di diversa preparazione. Alcuni non sono di lingua madre. Quindi tra noi c’è grande attenzione e grande rispetto per comprendere e per farci comprendere. Siamo diversi, ma abbiamo lo stesso obiettivo. Mi pare un’immagine efficace di quanto capita nella realtà esterna. Le situazioni sono diverse e, allo stesso tempo, molto comuni. Dobbiamo ascoltare tutti per costruire insieme una Chiesa fedele al Signore.
In riferimento alla famiglia, che cosa significa concretamente l’espressione «Chiesa in uscita»?Innanzi tutto un grande realismo. E il primo rispetto per la realtà riguarda il linguaggio. Noi teologi, ma spesso anche i vescovi e le persone che hanno incarichi importanti nella Chiesa, utilizziamo un vocabolario teologico. Eppure anche noi viviamo la stessa realtà delle famiglie, abbiamo una famiglia d’origine, ne conosciamo e ne frequentiamo molte. Ma quando parliamo di loro utilizziamo un linguaggio molto tecnico e astratto. Ecco, il primo gesto di realismo e di accoglienza è quello di parlare in modo concreto.
In questo senso la presenza al Sinodo di 17 coppie di sposi agevola la concretezza?Ma certo, quando nei Circoli minori parliamo noi sacerdoti, è sempre difficile intuire l’obiettivo. Poi prendono la parola le donne sposate, le madri di famiglia, e tutto subito si chiarisce. Ecco perché l’incontro con la realtà è un incontro divino. Il figlio di Dio – come ha detto anche papa Francesco a Filadelfia – è venuto ad incontrare il mondo, scegliendo di incarnarsi in una famiglia umana.
Ma dopo il linguaggio, non servono anche atti e gesti coerenti con quello che si dice?Certo, ma consideriamo che anche il linguaggio è concretezza, è già un incontro, anzi è il primo momento dell’incontro. Poi arrivano i gesti, che nella Chiesa devono essere soprattutto di amicizia, di misericordia, di accoglienza.
Al di là dell’impegno teologico, ha anche incarichi pastorali?Sì, soprattutto con le famiglie. Ne incontro tante, sia durante incontri e convegni, sia nel tempo libero o in vacanza. Quando nel maggio scorso sono stato a Nocera Umbra, all’Incontro organizzato dall’Ufficio Cei di pastorale familiare, sono stato tutta la sera a confrontarmi con le famiglie e, al termine, mi è stato detto: «Ma lei non parla come un uomo di Chiesa, ma come uno di noi». Mai complimento mi è risultato più gradito. Ecco, la Chiesa in uscita deve sforzarsi soprattutto di semplificare il linguaggio e di amare attraverso l’immediatezza della parola.
Come si sta vivendo nell’Aula sinodale la vicenda della lettera fantasma, quella che sarebbe stata firmata da 13 cardinali?Quando lunedì scorso il Papa ha fatto quell’accenno all’«ermeneutica cospirativa», ben pochi abbiamo inteso a che cosa si riferisse. Ma devo dire che tutto è finito lì. Anche oggi non se ne è parlato affatto.
È fiducioso sull’esito dei lavori?Molto, vedo che giorno dopo giorno la parola diventa più libera e allo stesso tempo più rispettosa. E quando succede questo vuol dire che lo Spirito è in azione. Me lo sento. Andrà tutto bene.