Il vitello d’oro ha cambiato nome ma esiste ancora. Nel terzo millennio si «chiama feticismo del denaro» o «dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano». Anche la Torre di Babele ha avuto un’evoluzione simile. Racconta, infatti, un
midrash ebraico che durante la sua costruzione il valore dei mattoni aveva superato di gran lunga quello degli uomini. Così oggi mentre in quelle moderne torri che sono i grattacieli a specchio della finanza si tengono «grandi riunioni internazionali», in molti Paesi del cosiddetto terzo mondo «si muore di fame». E in ogni caso il risultato è sempre lo stesso: la «negazione del primato dell’uomo».Papa Francesco usa immagini bibliche per descrivere la situazione attuale. E soprattutto per chiedere «una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti». Lo fa in due interventi, entrambi pronunciati ieri, che appaiono legati l’uno all’altro come le due facce di una stessa medaglia. Il primo (un vero e proprio discorso, che trovate
qui) rivolto agli ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana (Paesi ricchi e poveri, dunque. E questo ne amplifica, se possibile, l’efficacia). Il secondo (che è più un botta e risposta a braccio), durante l’incontro con il Comitato esecutivo di Caritas Internationalis, organismo al quale il Pontefice ha chiesto di essere sempre più (come l’intera Caritas a ogni livello) «la carezza della Chiesa al suo popolo».Le parole di papa Francesco appaiono come una attualizzazione dell’enciclica di Benedetto XVI
Caritas in veritate e di diversi altri atti di magistero, non ultima una nota pubblicata nel 2008 dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e approvata dalla Segreteria di Stato, che chiedeva «un nuovo patto finanziario internazionale per affrontare la crisi». Richiesta che ora il Pontefice fa sua, fondandola – proprio come papa Ratzinger nella sua enciclica – su una precisa notazione. La crisi, ricorda Francesco, ha origine nel rifiuto di quell’etica che «dà fastidio», perché ricorda l’esatto ordine dei fattori. L’uomo al primo posto, soprattutto i poveri, poi tutto il resto, compreso il denaro. Per questo il Pontefice sottolinea: «Il denaro deve servire e non governare». E per questo, citando San Giovanni Crisostomo, afferma: «Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli».Il santo «dalla bocca d’oro» ritorna con un’altra citazione («onorare il corpo di Cristo che sono i poveri») anche nel dialogo con i membri della Caritas Internationalis, durante il quale il Papa, sviluppando il precedente intervento, spiega qual è la posta in gioco. «Oggi è in pericolo l’uomo, la persona umana». E riprendendo una suggestione appena accennata nel primo discorso afferma: «Si è instaurata la cultura dell’usa e getta; quello che non serve si getta nella spazzatura: i bambini, gli anziani (con questa eutanasia nascosta che si sta praticando) i più emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo».E di fronte a questa crisi la Chiesa continuerà a fare la sua parte. «Una Chiesa senza la Carità non esiste – sottolinea infatti il Papa –. E la Caritas è la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza». Perciò «la spiritualità della Caritas è la spiritualità della tenerezza» che «noi abbiamo escluso dalla Chiesa». E che Francesco, nel ricordare che «la Chiesa è fondamentalmente madre», chiede proprio alla Caritas di aiutarla a «recuperare».