"Se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta". Lo ha detto papa Francesco nell'omelia della messa presieduta nella Chiesa del Gesù, nel centro storico di Roma, per solennizzare la canonizzazione di Pietro Favre, uno dei fondatori con Ignazio di Loyola, dell'ordine dei gesuiti, nella ricorrenza del Santissimo Nome di Gesù. Erano presenti circa 350 gesuiti. La fede del gesuita, ha detto papa Francesco, implica "un desiderio di cambiare il mondo", andando verso le periferie e annunciando il Vangelo con"dolcezza, fraternità e amore" non "con bastonate inquisitorie, di condanna". Essere gesuita, ha sottolineato il Papa, "significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l'orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l'inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine". "Ma, perché peccatori, - ha proseguito Francesco - possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l'inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio".Il Papa ha osservato che è necessario "cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l'inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili".
La figura di Favre, primo compagno di sant'Ignazio di Loyola, è stata indicata dal Pontefice come modello per la Compagnia e per la Chiesa. “Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto, lo zelo ci divora? Oppure siamo mediocri?", ha chiesto.
"La forza della Chiesa - ha insistito il Papa - non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa ma nelle acque profonde di Dio". E sul modello di san Pietro Favre ha esortato a "pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore. Proprio nei desideri - ha sottolineato - Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte. Si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Nostro Signore". Papa Francesco ha ricordato ai gesuiti, e a tutti cristiani, che solo mettendo Cristo al centro della propria vita, e dei propri desideri, è possibile portare davvero il Vangelo nel mondo. "Favre era completamente centrato in Dio - ha detto - e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, a dialogare con tutti con dolcezza e ad annunciare il Vangelo. Mi viene da pensare - ha aggiunto il Papa - alla tentazione che tanti hanno di collegare l’annuncio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna". "Il Vangelo - ha ribadito - si annuncia con dolcezza, con fraternità, con amore". Sul modello di Favre, il Papa ha ricordato che "l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Favre - ha detto - prova il desiderio di lasciare che Cristo occupi il centro del cuore. Solo se si è centrati in Dio - ha detto papa Francesco - è possibile andare verso le periferie del mondo. Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se non abbiamo il suo stesso desiderio abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e chiedere il Signore che torni ad affascinarci, per intercessione del nostro fratello Pietro. Noi siamo uomini in tensione. Siamo anche contraddittori e incoerenti. Ma siamo uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Siamo piccoli, siamo peccatori Noi che siamo egoisti vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri"."Rinnoviamo la nostra oblazione all'Eterno Signore dell'universo - ha concluso - perché con l'aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, 'non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù'".