Vengono ufficialmente pubblicate, a più di 34 anni dalla loro emanazione, le «Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rilevazioni». La diffusione, spiega nella prefazione il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è resa necessaria per una questione di chiarezza. Il documento, infatti, dopo l’approvazione da parte di Paolo VI (24 febbraio 1978) e l’emanazione da parte dell’ex Sant’Uffizio (il giorno seguente) fu inviato ai vescovi di tutto il mondo, «senza darne una pubblicazione ufficiale anche in considerazione del fatto – ricorda il porporato – che esso riguarda in prima persona i pastori della Chiesa». Tuttavia con il passare del tempo, il testo è stato pubblicato in alcune opere sulle apparizioni e in più di una lingua, «ma senza l’autorizzazione previa» della Congregazione. «Oggi – sottolinea Levada – bisogna riconoscere che i principali contenuti di questo importante provvedimento sono di pubblico dominio. Questa Congregazione per la Dottrina della fede ha ritenuto pertanto opportuno pubblicare le suddette Norme, provvedendo ad una traduzione nelle principali lingue».Resta tuttavia fermo il principio, ribadito anche da Benedetto XVI e richiamato dal prefetto ieri, che «è Gesù Cristo la Parola unica e definitiva consegnata all’umanità» e che «non è da aspettarsi alcuna altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore». Le rivelazioni private come le apparizioni hanno dunque «il compito di aiutare a vivere la Rivelazione di Cristo in una determinata epoca».Quali sono i criteri per discernere vere e false apparizioni? Le
Norme ricordano che «quando l’Autorità ecclesiastica venga informata di qualche presunta apparizione o rivelazione, sarà suo compito: in primo luogo, giudicare del fatto secondo criteri positivi e negativi». Tra i primi rientrano «la certezza morale, o almeno grande probabilità dell’esistenza del fatto, acquisita per mezzo di una seria indagine; le circostanze particolari relative all’esistenza e alla natura del fatto, vale a dire: qualità personali del soggetto o dei soggetti (in particolare, l’equilibrio psichico, l’onestà e la rettitudine della vita morale, la sincerità e la docilità abituale verso l’autorità ecclesiastica, l’attitudine a riprendere un regime normale di vita di fede, ecc...); per quanto riguarda la rivelazione, dottrina teologica e spirituale vera ed esente da errore; la sana devozione e i frutti spirituali abbondanti e costanti (per esempio, spirito di preghiera, conversioni, testimonianze di carità, ecc.)».Tra i criteri negativi sono elencati: «L’errore manifesto circa il fatto; gli errori dottrinali attribuiti a Dio stesso, o alla Beata Vergine Maria, o a qualche santo nelle loro manifestazioni, tenuto conto tuttavia della possibilità che il soggetto abbia aggiunto - anche inconsciamente -, ad un’autentica rivelazione soprannaturale, elementi puramente umani oppure qualche errore d’ordine naturale; una ricerca evidente di lucro collegata strettamente al fatto; atti gravemente immorali compiuti nel momento o in occasione del fatto dal soggetto o dai suoi seguaci; malattie psichiche o tendenze psicopatiche nel soggetto, che con certezza abbiano esercitato una influenza sul presunto fatto soprannaturale, oppure psicosi, isteria collettiva o altri elementi del genere».Se dopo questo esame, l’autorità ecclesiastica perviene ad una conclusione favorevole, può permettere alcune manifestazioni pubbliche di culto e devozione, continuando a vigilare. Infine, «alla luce del tempo trascorso e dell’esperienza, con particolare riguardo alla fecondità dei frutti spirituali, può esprimere un giudizio sulla verità e sulla soprannaturalità dei fatti, «se il caso lo richiede».