«Ringraziamo il Sacro Cuore che ci ha benedette dandoci questa giornata: un grazie alle oratrici e una promessa di aggiungere nuova lena al nostro lavoro e spirito di sacrificio perché si raggiunga l’ideale che ci proponiamo». Terminata la frase, Rosa si risiede nella sala gremita. È l’8 giugno 1924: l’Unione femminile cattolica italiana (Ufci) di Asti celebra l’annuale giornata sociale. Il momento è importante: il ramo femminile dell’Azione cattolica locale può contare già su 1.230 iscritte. Non poco per un’organizzazione nata una decina di anni prima e immersa in un periodo storico turbolento. L’occupazione delle fabbriche e il biennio rosso sono appena finiti e la marcia su Roma ha spalancato le porte del potere ai fascisti. L’Azione cattolica resiste, continuando nella sfida di formare alla responsabilità civile e sociale uomini e donne. Tra loro c’è Rosa. Che di cognome fa Vassallo Bergoglio. La stessa persona che vent’anni dopo, dall’altra parte dell’Atlantico e dell’emisfero, avrebbe insegnato all’adorato nipote – figlio dell’unico figlio – che: «Il sudario non ha tasche». Quel bambino era il futuro papa Francesco. Rosa non può immaginarlo. L’8 giugno 1924 il suo pensiero è concentrato su un altro Papa, Pio XI, che ha voluto far sentire all’Ufci la sua vicinanza con un telegramma di auguri. Niente sfugge ai registri dell’Azione cattolica, scritti a mano e conservati nella sede dell’associazione ad Asti. Sfogliandoli emerge una pagina inedita della storia della donna che più ha contato – per sua stessa ammissione – nella vita dell’attuale vescovo di Roma. Se è indubbio che Francesco venga dalla «fine del mondo», è altrettanto vero che i nonni, Rosa e Giovanni, e il papà, Mario, sono arrivati all’estremo Sud del pianeta partendo dall’Italia. Precisamente dal Piemonte. Rosa, originaria di Piana Crixia, nel savonese, e Giovanni, di Portacomaro, si conoscono, si fidanzano e si sposano a Torino il 20 agosto 1907. Là entrambi si sono recati per migliorare la propria condizione. Dal capoluogo, 11 anni dopo, si trasferiscono ad Asti. E là Rosa – da sempre impegnata in parrocchia – comincia un’intensa attività nell’Unione donne e poi nell’Ufci. Nel 1923, durante la presidenza della facoltosa Clementina Zopegni, vedova Fissore, la signora Bergoglio, all’epoca 39enne, è consigliera per le questioni relative alla moralità. Rosa, umile ex sarta e moglie di un portiere poi diventato barista, non ha cognomi illustri da sfoggiare né beni da donare. Le sue ricchezza sono l’intelligenza brillante, la tenacia, la volontà e la voglia di contribuire al bene comune. La nonna del primo Papa argentino partecipa assiduamente agli appuntamenti. Quando, ad agosto, tante signore sono in vacanza fuori città, le poche “superstiti” si riuniscono per programmare le attività dell’anno successivo. Rosa non manca mai. In associazione conosce Prospera Gianasso, docente di francese all’Istituto Brofferio, che le insegna la lingua. La signora Bergoglio supplisce alla limitata istruzione con letture voraci e voglia di apprendere. Sotto la guida del carismatico assistente ecclesiastico, don Luigi Goria, Rosa comincia a tenere conferenze e incontri in tutta la provincia. Il figlio Mario nel frattempo si è diplomato ragioniere. La mamma ne è orgogliosa: lo studio è il primo tassello dell’emancipazione. Per questo lei e il marito hanno lasciato la campagna. E per questo, nel 1929, decidono di gettarsi in una nuova avventura: accettano l’invito del fratello di Giovanni di andare in Argentina, per lavorare nella fabbrica di pavimentazione impiantata dai Bergoglio a Paraná. Rosa lascia l’Italia ma non l’Azione cattolica astigiana a cui continuerà a iscriversi regolarmente dalle rive del Plata. E compilerà il modulo in francese. In omaggio a Prospera.