mercoledì 16 febbraio 2022
In ginocchio la nazione simbolo della convivenza fra le fedi in Medio Oriente. Il vescovo Khairallah: «Le appartenenze religiose non c’entrano con la crisi. Si aiuti il Paese anche per i profughi»
Le proteste anti-governative in Libano

Le proteste anti-governative in Libano - Ansa

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Si continua a scendere in piazza e a protestare in Libano. I “giorni della rabbia” si moltiplicano in un Paese al collasso. Il tracollo economico e l’instabilità politica segnano da tre anni il quotidiano di una nazione ritenuta un modello. «E a pagare il prezzo più alto del fallimento dello Stato e dell’implosione del sistema bancario è la nostra gente», spiega il vescovo cattolico maronita Mounir Khairallah che guida l’eparchia di Batroun. È ormai uno sbiadito ricordo il miracolo di prosperità che ne aveva fatto la “Svizzera del Medio Oriente”. Oggi due terzi degli abitanti vivono sotto la soglia di povertà. La lira locale si è svalutata del 90%. Le famiglie lottano disperate per procurarsi il cibo o i medicinali di base. L’energia elettrica è razionalizzata: poche ore al giorno. Il prezzo della benzina e del gas è aumentato di almeno dieci volte. La rete delle scuole si trova sull’orlo del baratro. E sulla “polveriera Libano” si sono abbattute prima la misteriosa esplosione al porto di Beirut nell’agosto 2020 che ha causato 220 morti e devastato la capitale; poi l’emergenza Covid che ha messo in ginocchio ospedali e assistenza sanitaria. A tutto ciò si aggiunge la presenza di centinaia di migliaia di profughi su una popolazione di quattro milioni di persone: erano in prima battuta palestinesi; adesso sono per lo più siriani fuggiti dalla guerra che ha piegato il Paese confinante.


Si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio il secondo incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che porterà in Toscana i vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Al centro dell’incontro, ispirato alle intuizioni del "profeta di pace" Giorgio La Pira, il tema della cittadinanza letta alla luce della fraternità fra i popoli in un'area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni. Assieme ai vescovi, arriveranno a Firenze i sindaci delle città del Mediterraneo per un forum “parallelo”. Il doppio appuntamento sarà concluso da papa Francesco domenica 27 febbraio con la sua visita a Firenze



«Il Libano non può essere abbandonato a se stesso – avverte il vescovo –. Anche perché siamo un presidio di equilibro per l’intera regione e un esempio di convivialità fra comunità con radici religiose, culturali ed etniche diverse. E dico convivialità, non coesistenza. Infatti la coesistenza rimanda quasi a una sopportazione reciproca; la convivialità indica che si può vivere gli uni accanto agli altri nel rispetto delle diversità». Come accade nel Paese dei cedri dove il dialogo fra cristiani e musulmani marca la società e dove la massiccia presenza cristiana ne fa un caso unico nel mondo arabo. «Già nella Costituzione è contenuto un principio per noi fondamentale: rifiutiamo l’idea di minoranza. Siamo un unico popolo, composto da più comunità. Tutti siamo figli del Libano seppur con appartenenze proprie», afferma Khairallah.

Il vescovo cattolico maronita Mounir Khairallah che guida l’eparchia di Batroun

Il vescovo cattolico maronita Mounir Khairallah che guida l’eparchia di Batroun - Avvenire

Sessantanove anni, considerato particolarmente vicino al patriarca maronita, il cardinale Béchara Boutros Raï, che lo ha consacrato vescovo nel 2012, ha studiato a Roma, alla Pontificia Università Urbaniana, e a Parigi, all’Institut catholique e alla Sorbona. Fra pochi giorni sarà a Firenze per partecipare all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo che sarà concluso domenica 27 febbraio da papa Francesco. Khairallah non è un neofita: aveva già preso parte al G20 ecclesiale di Bari nel 2020 che per la prima volta nella storia aveva riunito i pastori di venti Paesi e tre continenti affacciati sul grande mare: Europa, Asia e Africa.

Eccellenza, i vescovi del Mediterraneo tornano a vedersi per ribadire il loro impegno alla pace. Stavolta insieme con i sindaci delle città del bacino. All’ordine del giorno c’è il tema della cittadinanza.

È un concetto che in questi anni è stato discusso dalle Chiese del Medio Oriente. In Egitto all’università di al-Azhar ci siamo confrontati come leader religiosi cristiani e musulmani per renderlo concreto nei nostri Paesi dove la realtà è talvolta critica. Poi è arrivato il Documento di Abu Dhabi che ha confermato il nostro percorso. C’è bisogno che in Medio Oriente siano riconosciuti eguali diritti e doveri a ciascun cittadino, in particolare ai cristiani che sono cittadini antichi e autentici, non ospiti. Ecco perché serve lanciare un appello affinché sia garantita l’uguaglianza di tutti pur nelle differenze.

E il Libano è un esempio?

Già nel 1997 Giovanni Paolo II scriveva parole lungimiranti sul nostro Paese nell’Esortazione apostolica Una speranza nuova per il Libano di cui ci prepariamo a celebrare i 25 anni. Il Pontefice sosteneva: «Non possiamo dimenticare che esso è la culla di una cultura antica e uno dei fari del Mediterraneo». È un Paese messaggio di fraternità, aggiungeva. Vorremmo che continuasse a essere così.

I cristiani maroniti a Beirut

I cristiani maroniti a Beirut - Ansa

Eppure adesso il Libano è prostrato.

La crisi economica è drammatica. Il 17 ottobre 2019 è scattata la rivolta popolare contro una classe politica che ha fallito il suo compito. La perdita di fiducia ha coinvolto le banche che rappresentavano l’ultima linea di difesa. Ed è iniziato il caos. Uno stipendio medio era di circa 500 dollari, oggi è di 20 dollari. La crisi economica è diventata politica. L’incoscienza e il disinteresse dei leader non hanno permesso al Paese di risollevarsi. Tutto questo però non ha nulla a che fare con le appartenenze religiose. Dipende da quanti hanno anteposto gli interessi personali al bene comune.

Il patriarca Raï ha denunciato: c’è qualcuno che vuole cancellare il Libano.

Si riferiva a Hezbollah, ma non in quanto comunità musulmana sciita bensì in qualità di partito paramilitare che vuole imporre la sua visione invocando l’aiuto dall’Iran. Certo, abbiamo altri politici che chiedono il sostegno della Siria; altri ancora dell’Arabia Saudita; alcuni degli Usa. Ma la fede non c’entra. Dal momento che i leader appartengono, secondo la Costituzione, alle diverse comunità, loro utilizzano questa matrice per fini propagandistici o elettorali. La maggioranza della gente non vuole un Libano confessionale ma civile e libero.

I cristiani maroniti in preghiera lungo le strade del Libano

I cristiani maroniti in preghiera lungo le strade del Libano - Ansa

Il segretario Vaticano per i rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ha visitato il Paese nei giorni scorsi e ha ventilato una visita del Papa. Poi ha detto che la Santa Sede è pronta a ospitare un tavolo di riconciliazione nazionale.

Papa Francesco vuole bene al Libano e lo attendiamo con immensa gioia, come i suoi predecessori. Lui chiede che i libanesi imbocchino la via del dialogo fraterno e sincero. Ma il patriarca aggiunge che oggi il dialogo è impossibile se una parte ha una milizia e possiede armi.

Il Papa, oltre ai ripetuti appelli, ha voluto la giornata di preghiera per il Libano. Un richiamo ai cristiani e alla comunità internazionale a sostenere la nazione?

Siamo un piccolo Paese che non ha la forza di gestire da solo questa crisi. Perciò il patriarca e i vescovi prospettano l’aiuto dell’Onu ed esortano a fermare le ingerenze. Siamo sicuri di poter ricostruire il Libano a partire dalla nostra gioventù che vuole un Paese nel segno della concordia, della giustizia, della tutela di tutti.

Ma si fugge. E con numeri preoccupanti.

L’emigrazione è una piaga. In tanti abbandonano il Paese: e non si tratta solo di cristiani. Tuttavia chi resta desidera una nazione nuova dove cristiani e musulmani collaborino sempre.

La Cattedrale maronita di San Giorgio a Beirut con la vicina moschea

La Cattedrale maronita di San Giorgio a Beirut con la vicina moschea - .

Il Libano ha aperto le sue frontiere ai profughi.

Negli anni abbiamo accolto 600mila palestinesi e 1,2 milioni di siriani. È come se in Italia arrivassero 25 milioni di rifugiati. La comunità internazionale ci ha lodato per l’impegno ma non ha fatto niente per aiutarci. Non possiamo continuare ad affrontare un tale peso. I migranti sono spesso privi di tutto e vivono in condizioni difficilissime. In verità non si vuole risolvere alla radice il problema, ossia far sì che si possa tornare nei Paesi d’origine. Penso ai profughi siriani che hanno il compito di ricostruire il loro Paese. Le potenze occidentali fanno cadere sulla gente e anche sul Libano le loro strategie. Il Papa ha giustamente criticato l’Europa perché non garantisce ai migranti una vita degna. Ma in Libano che cosa è possibile fare?


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