Se c’è un’occasione in cui, ogni anno, si può intravedere il bene straordinario che i circa 8.000 missionari italiani sparsi nel mondo seminano lontano dai riflettori, è il premio Cuore Amico, l’“Oscar” della missionarietà. È il riconoscimento (con annessi 50mila euro a testa) che viene assegnato dalla “Cuore Amico Fraternità onlus”, associazione fondata nel 1980 dal sacerdote bresciano don Mario Pasini per il sostegno alla missione ad gentes. La premiazione di sabato, a Palazzo della Loggia a Brescia, moderata da Licia Colò, è stata uno degli appuntamenti più seguiti del Festival nazionale della missione che si chiude domenica.
Sala gremita anche per la partecipazione di un ospite d’eccezione, il cardinale Ernest Simoni, 89 anni mercoledì prossimo, una vita sacerdotale spesa fra le persecuzioni e i lavori forzati nell’Albania comunista. Tre i premiati di quest’anno. Cristina Togni, di Busto Arsizio – una delle prime appartenenti alla Comunità di Missionarie Laiche Pime – è arrivata in Cambogia nel 1996 ed è rimasta subito colpita dalla condizione di emarginazione in cui vivevano le persone con disabilità fisiche e psichiche. «Nella mentalità buddhista la disabilità è una colpa, che discende dal male compiuto dai genitori. Non esiste una cultura dell’inserimento, al contrario: queste persone non sono prese in carico da nessuno, non vengono nemmeno inserite nel cosiddetto “libro della famiglia”». Togni negli anni ha dato vita a un centro di ospitalità per portatori di disabilità e a una specifica iniziativa di educazione e cura rivolta ai malati psichici. Quella dei missionari è una carità che vuole essere trasparenza del volto di Cristo. «Io ho fatto e faccio tutto per l’evangelizzazione», ha detto don Tarcisio Moreschi, 70 anni, sacerdote fidei donum della diocesi di Brescia. E in quel «tutto» c’è un elenco di opere sorprendente. A partire dal 1976 don Moreschi ha viaggiato tra il Burundi, l’allora Zaire e la Tanzania costruendo chiese, scuole, orfanotrofi, pozzi, ma soprattutto animando la vita spirituale delle comunità cattoliche. Solo in Tanzania, a partire dal 1993 ha realizzato un ospedale, la chiesa parrocchiale di Ilembula, un centro per bambini disabili, alcune scuole materne, un orfanotrofio e un servizio di assistenza sanitaria per mamme ammalate di Aids/Hiv. Ma «noi non dobbiamo solo istruire o curare», ha detto con enfasi il sacerdote bresciano, «bisogna cambiare il cambiare il cuore delle persone e chi lo può fare è solo Gesù Cristo. Quello che è importante è la sua Parola, la liturgia, dove la comunità lo può incontrare». Ed è per questo che don Moreschi, tra tutto ciò che ha contribuito a erigere, ci tiene a sottolineare un tipo di opere: «Le chiese».
Essere in missione per Cristo significa, infine, non conoscere donazioni a metà. A questo riguardo non poteva esserci una testimone più efficace e luminosa di suor Giovanna Comencini, religiosa comboniana originaria di Castion Veronese: 97 anni compiuti e 69 anni di vita missionaria. Ultima di undici fratelli e sorelle, dopo essersi diplomata come maestra e aver cominciato a insegnare, nel 1948 è partita per l’Eritrea dove ancora continua a lavorare. L’origine di tutto, suor Giovanna l’ha raccontato così: «Quando ero ancora maestra, un giorno, in occasione della Festa della missione, c’erano sui banchi della chiesa delle buste per raccogliere le offerte. Ne ho preso una e ho messo il mio intero stipendio. E ho scritto: “Signore, tu sai che ti amo tanto. Oggi ti dono il mio stipendio, domani ti darò la vita”».