Come don Matteo è abituato a girare in bicicletta e ad ascoltare la gente. Ma don Otello non è un prete di celluloide, bensì un sacerdote in carne e ossa che, per quanto ancora abbastanza giovane – 53 anni, 8 dei quali di Messa – ha già alle spalle una storia lunga e singolare. Una storia di Natale, si potrebbe dire, perché è nato il 24 dicembre e perché spesso, proprio durante le feste natalizie, gli capita di incontrare «parrocchiani» del tutto particolari che vengono a raccontargli un sogno.Don Otello Bisetto, prima di essere trasferito in un altro centro, era fino a pochi mesi fa il parroco di San Lorenzo, quartiere periferico di Mazara del Vallo con molti abitanti di origine tunisina, e insegnava religione nel locale Istituto professionale di Stato, frequentato per metà da giovani musulmani. Un parroco di frontiera, dunque. Che l’Islam lo ha conosciuto dall’interno perché è incardinato nella diocesi di Biserta in Tunisia, dove è stato ordinato sacerdote nel 2004 dopo un percorso di vita che lo ha portato prima al diploma di geometra e poi a lavorare alla Caritas di Treviso (sua città natale) e infine ad andare in giro per l’Africa, nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. «Volevo salvare il mondo – racconta ora, molti anni e molti chilometri dopo, e non senza un filo di autoironia –, ma a un certo punto mi sono accorto che solo Gesù Cristo salva».Quel Gesù che i suoi «parrocchiani islamici» dicono di aver sognato, quando si rivolgono a lui. Dalla Tunisia, infatti, il sacerdote è tornato nel 2010 ed è stato accolto dal vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, che gli ha affidato la parrocchia di San Lorenzo, con la chiesa nuova costruita anche con i fondi dell’8xmille. E qui don Otello ha sperimentato cosa significa essere «parroco» anche dei musulmani, non più in una nazione del Maghreb, dove questo è più o meno normale, ma in Italia. «Per me – racconta – è stata un’esperienza completamente nuova. Nel Nord Africa gestivo le scuole diocesane dove i ragazzi islamici vengono a studiare e trovano in pratica l’unico spazio di confronto libero. Qui invece mi sono accorto subito che il sacerdote è guardato con diffidenza. È il "crociato" che ti vuole convertire a tutti i costi. E allora lo devi tenere a distanza. Ma poi c’è sempre qualcuno che rompe gli schemi e ti viene a parlare. E la prima cosa che ti dicono è sempre la stessa. "Ho sognato Gesù"».Ecco il sogno. O meglio l’escamotage, quasi un annusare l’aria. «Avviene soprattutto a Natale», sottolinea don Otello, che però in proposito ha sviluppato una metodologia tutta sua. «Di solito – ricorda – sono soprattutto i giovani ad avvicinarsi con questo stratagemma. E allora io gli rispondo: "Perché mi chiedi di Gesù? Anche il Corano parla di Lui. Se vuoi davvero conoscerlo, parti da lì"». La realtà, fa notare il sacerdote, è che la grande maggioranza di questi giovani, nati magari in Italia, si sentono fortemente disorientati. Conoscono e non conoscono la loro fede. Un po’ come avviene anche a tanti coetanei italiani. «E allora – spiega don Bisetto – con il rimando al Corano io voglio dimostrargli che non sono lì per convertirli a tutti i costi, ma per accompagnarli nel loro percorso di vita».Dietro alle parole di don Otello c’è tutta la problematica del delicato rapporto con l’islam. Fermarsi al livello di assistenti sociali (perché molte famiglie immigrate hanno realmente bisogno di aiuto materiale) o proporre anche Cristo pur nella libertà che sempre deve essere lasciata per le questioni religiose? «È un problema che mi sono posto anch’io – risponde don Bisetto –. E penso che la soluzione del dilemma stia nell’esaminare caso per caso. Infatti con quelli che sono più motivati abbiamo iniziato un itinerario che dal Corano è arrivato al Vangelo e in alcuni casi anche al Battesimo». Ma la questione è più ampia e don Otello avanza un suggerimento. «Proporre la fede cristiana è possibile, ma occorre non ghettizzare gli immigrati, favorendo la loro reale integrazione sociale. Soprattutto i giovani nati in Italia cominciano a notare la differenza tra un sistema di vita che ti predetermina tutto, persino il matrimonio, e la libertà che esige discernimento e responsabilità. Ed è proprio la libertà la via da percorrere per proporre il Vangelo». Ma naturalmente il sacerdote trevigiano lancia anche un avvertimento. «Tutto ciò richiede in noi una fede salda, una testimonianza operosa e la consapevolezza che tra la libertà dei figli di Dio e il libertinaggio della cultura secolarizzata c’è grande differenza. Ma è una sfida da raccogliere. E io penso – conclude don Otello – che ne saremo capaci».