A Beirut l'Accademia per la pace con i giovani del Libano insieme al vescovo Jules Boutros - Avvenire
«I nostri giovani non si arrenderanno». Il vescovo Jules Boutros non si riferisce alle armi da imbracciare. Ma alla pace da conquistare. Libanese, 41 anni, della Chiesa patriarcale di Antiochia dei Siri, è il più giovane pastore cattolico del Paese invaso. Guida la Commissione giustizia e pace dell’episcopato libanese. E ha appena fondato a Beirut la “Leadership accademy for peace”, progetto per i giovani sostenuto dal Dicastero vaticano per lo sviluppo umano integrale. La prima lezione sotto le bombe, in una sorta di bunker, la scorsa settimana. «L’aula ha tremato. Eravamo vicini al luogo in cui sono caduti 80 missili lanciati da Israele per uccidere Nasrallah», leader di Hezbollah. «Allora ho chiesto ai ragazzi se fosse il caso di continuare - prosegue il vescovo -. E tutti hanno risposto di sì». Anche in mezzo alla guerra. «Anzi, ora più che mai c’è bisogno di superare l’atteggiamento della vittima e di sporcarsi le mani per iniziare già da adesso a costruire la pace in Libano». Nei giorni degli attacchi dal cielo e via terra significa «prendersi cura degli sfollati, portare aiuti, allestire le mense, preparare luoghi sicuri per la popolazione, promuovere momenti di preghiera», racconta il vescovo.
Il vescovo libanese Jules Boutros della Chiesa patriarcale di Antiochia dei Siri - Avvenire
È rientrato a Beirut da Milano dove è stato ospite della Fondazione Oasis, laboratorio dell’incontro fra Occidente e mondo musulmano che è nato da un’intuizione del cardinale Angelo Scola e che ha appena celebrato i 20 anni d’attività. «Ormai nessun angolo del Paese è sicuro - dice Boutros -. Si registrano centinaia di raid missilistici al giorno. Con 1.900 morti e 9mila feriti il sistema sanitario è al collasso. Oltre un milione di persone ha lasciato le proprie case. C’è già chi si rifugia in Siria o in Iraq. Persino raggiungere l’aeroporto per salire su un aereo è un azzardo: le strade sono continuamente bombardate». Una pausa. «Siamo una nazione in guerra. Ma sembra di essere alla vigilia di un nuovo conflitto mondiale visto che il numero degli attori coinvolti cresce con il passare dei giorni», aggiunge Boutros.
Parrocchie e monasteri hanno aperto le porte ai rifugiati. «Abbiamo messo a disposizione tutto quanto è possibile per ospitare le famiglie che fuggono. Chi può accoglie nelle proprie case. E siamo impegnati anche nelle scuole che sono state sgombrate per fare spazio agli evacuati». Gli esodi di massa dal Libano rischiano di comprometterne il futuro, avverte il vescovo. «“Quale domani ci può essere qui per mio figlio”, mi dicono tanti genitori. E come dare loro torto in un Paese così prostrato. Ci eravamo appena ripresi dall’esplosione al porto di Beirut nel 2020. Ed ecco la guerra. Per di più abbiamo una classe politica corrotta che paralizza le istituzioni».
A Beirut l'Accademia per la pace con i giovani del Libano insieme al vescovo Jules Boutros - Avvenire
Anche i cristiani se ne vanno. «Molti hanno lasciato il Libano. Altri stanno progettando l’addio - aggiunge il presule -. Eppure c’è una generazione di cristiani che è pronta ad assumersi la responsabilità di risollevare le sorti della nazione». Anche mentre infuriano gli scontri. «C’è chi non vuole restare a guardare, come se la guerra fosse un film. Questo vuol dire farsi prossimi alla gente con gesti solidali che già diventano una via di pace». E, secondo Boutros, il Libano continua a mandare il suo messaggio di fraternità al Medio Oriente. «Nonostante tanti cuori feriti dall’odio, come accade fra musulmani ed ebrei, crediamo di poter riaffermare che la convivenza è possibile al di là delle differenze religiose ed etniche». Con un appello alla comunità internazionale: «Abbiamo urgenza di nazioni che scelgano la pace. E anche il Libano sta dimostrando con i suoi morti, la distruzione, i profughi ciò che dice il Papa: la guerra è sempre una sconfitta e non ha mai un vincitore».