La Messa conclusiva della Settimana liturgica nazionale a Cremona. Da sinistra, i vescovi Maniago, Napolioni e Gianotti - Paolo Mazzini / Diocesi di Cremona
«Non dobbiamo avere paura di dire che le nostre Messe avranno numeri sempre più piccoli e saranno per comunità ridotte». Il vescovo di Crema, Daniele Gianotti, va dritto al cuore della questione: la pandemia ha messo alla prova e talvolta ha “svuotato” le parrocchie; c’è un “gregge smarrito” che si è allontanato dalle chiese e quindi dall’Eucaristia. «Non scandalizziamoci se le presenze alle liturgie si possono diradare. Dal momento che è il Risorto a raccogliere la sua comunità, è lo stesso Signore che custodisce la libertà dei credenti e non la trattiene», prosegue. Tutto ciò significa rassegnarsi? Neppure per idea. «Serve prendere coscienza della realtà che abbiamo di fronte. È bene preoccuparsi, ma mai cedere alla logica del lamento», chiarisce il vescovo di Castellaneta, Claudio Maniago, presidente del Cal, il Centro di azione liturgica.
Il terremoto del Covid che ha sconvolto la vita ecclesiale in Italia entra con tutto il suo carico “rivoluzionario” nella Settimana liturgica nazionale. A fare da filo conduttore il tema «“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome”. Comunità, liturgie e territori». Un appuntamento tornato dopo lo stop imposto lo scorso anno dall’emergenza sanitaria e ospitato in una delle città-simbolo della prima ondata della pandemia: Cremona. Dopo quattro giornate di riflessione e preghiera la conclusione guardando al futuro, «senza fasciarsi la testa», dice Maniago. E aggiunge: «Il Signore è partito da pochi e a loro ha chiesto di essere fermento. Questa è l’ora in cui ciascuno di noi deve farsi fermento buono in un frangente complesso che siamo tenuti ad abitare portando il seme della speranza e della vita nuova che scaturisce dal Vangelo».
La Settimana liturgica nazionale a Cremona - Paolo Mazzini / Diocesi di Cremona
Tornano allora le parole “provocatorie” di papa Francesco che in apertura della Settimana aveva posto l’accento sulla «marginalità» verso la quale sembrano «inesorabilmente precipitare» la domenica e l’assemblea eucaristica. C’è bisogno di un «atteggiamento ospitale», di «comunità aperte», sostiene Gianotti nella sua relazione conclusiva che tiene fra le navate della Cattedrale di Cremona. E intorno all’altare tutti devono «sentirsi a casa»: compresi «quelli di fuori » o «chi sta ai margini», sottolinea il vescovo di Crema che è delegato per la liturgia e la catechesi della Conferenza episcopale lombarda. Di fatto occorre ripartire da quella «dinamica missionaria che è già iscritta nella celebrazione stessa» e che implica anche l’urgenza di «sopportare chi è più debole». Ecco perché, osserva il presule, è necessario immaginare «la Chiesa come una comunità che ha entrate e uscite differenti», capace di riconoscere «le varietà di interessi e di percorsi di fede delle persone che meritano di essere tutte accolte, pur senza sfociare in un eccessivo personalismo».
Guai, comunque, a fare della Messa una parentesi, «un’interruzione », come la definisce monsignor Angelo Lameri, docente di liturgia alla Pontificia Università Lateranense e consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. La celebrazione «alimenta la vita» e fa sì che ogni fedele possa «rimettersi in cammino trasformato dal Signore, anche con un rinnovato impegno a donarsi al prossimo». Allora ogni comunità dovrebbe porsi una domanda, avverte Gianotti: «Quale immagine diamo della nostra fede nelle liturgie?». E il pungolo: «Se mostrassimo la gioia di ritrovarci insieme nel nome del Risorto, qualcuno potrebbe chiedersi da che cosa deriva questa gioia, questa felicità… E magari esserne contagiato».
Ma c’è anche altro da considerare. Di fronte a comunità ormai multiformi, è opportuno «pensare a modalità differenti di celebrazione», propone il vescovo di Crema. Basta con «un’applicazione automatica» del rito a «qualsiasi assemblea», a prescindere da chi la forma. Se siamo in una realtà di periferia, «si possono prevedere adattamenti che non significa fare “meno” ma fare “meglio”». E poi è interessante ipotizzare forme di aiuto reciproco fra le comunità: nei canti, ad esempio, o nella preparazione. E ancora: valorizzare «le diverse celebrazioni, non solo l’Eucaristia». Ma il tutto deve avvenire senza sfociare nelle Messe fai-da- te. «Non possiamo costruire liturgie a propria immagine e somiglianza», ammonisce Lameri citando l’introduzione Cei al nuovo Messale in italiano. No alla «manipolazione» dei riti dove «diventa protagonista l’uomo» e non il Signore.
I vescovi Maniago e Napolioni che concludono la Settimana liturgica nazionale a Cremona - Paolo Mazzini / Diocesi di Cremona
Nella storia del Cal la Settimana 2021 è quella della “svolta”. Per la prima volta non è stata solo in presenza, ma anche online grazie alla “macchina” comunicativa messa a punto dalla diocesi. Con relazioni che hanno superato le 4mila visualizzazioni sul web. «Mai avevamo raggiunto un così alto numero di partecipanti – sorride Maniago –. Se il Cal è a supporto delle parrocchie per aiutarle a crescere nella consapevolezza dell’importanza della liturgia, allora diventa ineludibile il ricorso alle nuove tecnologie ». Un’impostazione che proseguirà il prossimo anno quando l’iniziativa farà tappa nell’arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno. «Vediamolo come uno dei risvolti positivi della pandemia – conclude il presidente del Cal –. E indietro non si torna».