sabato 9 novembre 2013
Nella Messa in Casa Santa Marta il monito del Papa contro gli amministratori disonesti L’abitudine alle tangenti crea dipendenza. «Forse si comincia con una piccola bustarella, ma è come la droga». Un tema caro a Bergoglio anche quand’era arcivescovo di Buenos Aires.​​​ (Salvatore Mazza)
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Dà ai figli «pane sporco» chi «è devo­to della dea tangente». Guadagni «frutto di tangenti e corruzione», che sono «come la droga», magari «si co­mincia con una bustarella». E allora bisogna pregare per questi giovani, che hanno «fa­me di dignità», mentre il lavoro disonesto, questa dignità cercata, la toglie.
È stata la parabola dell’amministratore di­sonesto, ieri mattina, a offrire a papa Fran­cesco lo spunto per tornare, di nuovo e con inequivocabile forza, a mettere in guardia dallo «spirito del mondo, della mondanità», e a ricordare «come agisce questa monda­nità e quanto pericolosa sia», sottolinean­do come Gesù pregasse «perché i suoi di­scepoli non cadessero nella mondanità», che «è il nemico». E da questo spunto, nel­l’omelia della consueta Messa mattutina a Santa Marta, papa Bergoglio ha ribadito la condanna di tangenti e corruzione, come già aveva fatto lo scorso 16 maggio, sca­gliandosi contro la «corruzione tentacola­re e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali» (discorso a­gli ambasciatori di Il Kirghizistan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo, Botswana).
Un tema, questo, che del resto il Pontefice ha sempre molto sentito, come dimostrano, per esempio, il libro Guarire dalla corru­zione, che raccoglie le sue riflessioni, da ve­scovo e cardinale, sul tema, e il fatto che nel­le nuove leggi penali e amministrative, in­trodotte per sua volontà nella Città del Va­ticano lo scorso 11 luglio, anche per il rea­to di corruzione sono state previste sanzio­ni molto più severe di prima. «Quando noi pensiamo ai nostri nemici – ha detto nell’omelia di ieri – davvero pensia­mo prima al demonio, perché è proprio quello che ci fa male. L’atmosfera, lo stile di vita piace tanto al demonio, è questa la mondanità: vivere secondo i valori - fra vir­golette - del mondo. E questo amministra­tore è un esempio di mondanità. Qualcuno di voi potrà dire: 'Ma, questo uomo ha fat­to quello che fanno tutti!'. Ma tutti, no! Al­cuni amministratori, amministratori di a­ziende, amministratori pubblici; alcuni am­ministratori del governo... Forse non sono tanti. Ma è un po’ quell’atteggiamento del­la strada più breve, più comoda per guada­gnarsi la vita».
Nella parabola, il padrone loda l’ammini- stratore disonesto per la sua furbizia, e «sì – ha osservato Francesco – questa è una lo­de alla tangente! E l’abitudine della tangente è un’abitudine mondana e fortemente pec­catrice. È un’abitudine che non viene da Dio: Dio ci ha comandato di portare il pa­ne a casa col nostro lavoro onesto! E que­st’uomo, amministratore, lo portava, ma co­me? Dava da mangiare ai suoi figli pane sporco! E i suoi figli, forse educati in colle­gi costosi, forse cresciuti in ambienti colti, avevano ricevuto dal loro papà, come pa­sto, sporcizia, perché il loro papà, portan­do pane sporco a casa, aveva perso la di­gnità! E questo è un peccato grave! Perché si incomincia forse con una piccola busta­rella, ma è come la droga, eh! ».
Per questo, nel pensiero del Papa, l’a­bitudine alle tangenti diventa una di­pendenza. Ma se c’è una « furbizia mondana » , ha aggiunto, c’è anche una « furbizia cristiana, di fare le cose un po’ svelte … non con lo spirito del mondo » , ma onestamente. È ciò che dice Gesù quando invita ad essere a­stuti come i serpenti e semplici come colombe: «Mettere insieme queste due di­mensioni è una grazia dello Spirito Santo, un dono che dobbiamo chiedere». 
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