martedì 19 gennaio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Se una conferma la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma doveva fornirla, ebbene l’ha fornita. Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, la riassume così: «Questi sono i 50 anni migliori della storia, per i rapporti ebraico-cattolici». Frutto di un cammino paziente e tenace, di cui l’incontro di domenica pomeriggio non è che – per il momento – l’ultimo atto in ordine di tempo.Presidente Gattegna, possiamo parlare di visita riuscita?Senza ombra di dubbio. Per il clima e per i gesti. E naturalmente anche per i discorsi. Quelli di Benedetto XVI e del rabbino Di Segni hanno toccato argomenti importanti di natura teologica, con toni elevati e contenuti interessanti, che ci stimolano a un ulteriore dialogo e alla ricerca delle comuni radici. Il discorso di Riccardo Pacifici, invece, è stato di natura più storico-politica e sulle sue richieste non sono giunte risposte nuove.Lei si riferisce naturalmente alle questioni che riguardano l’interpretazione storica della condotta tenuta da Pio XII riguardo al nazismo.Certo. Su questo abbiamo ancora differenti punti di vista, ma bisogna riconoscere ciò che è incontestabile. Molte strutture e famiglie cattoliche hanno aiutato gli ebrei durante la II Guerra Mondiale. Forse le risposte definitive sono negli archivi, che contengono però molto materiale da studiare. Perciò mi rendo conto che una tale ricerca richiede tempi lunghi.Che cosa l’ha colpita maggiormente della visita?Personalmente sono molto contento che l’incontro ci sia stato. Incontrarsi è sempre un bene e quando questo avviene con il coinvolgimento del popolo il beneficio è maggiore. In tal modo molte resistenze se proprio non cadono del tutto, almeno si attenuano. Dal punto di vista dei contenuti non ci sono stati fatti particolarmente nuovi. Ma è importante che il Papa abbia ribadito ancora una volta il no alle persecuzioni alle discriminazioni e all’antisemitismo. Noi lo diamo come un fatto acquisito, ma per il mondo non sempre lo è.In meno di cinque anni di pontificato, Benedetto XVI ha già compiuto tanti significativi gesti verso i «fratelli maggiori». Chi è oggi per gli ebrei papa Ratzinger?È un Pontefice che ha tanti tratti in comune con Giovanni Paolo II, dal momento che è stato uno dei suoi più ascoltati consiglieri sotto il profilo teologico. Certo, il suo è uno stile personale differente da quello del suo predecessore, ma non si può legittimamente chiedere a nessuno di imitare lo stile di un altro. Anche tra Toaff e Di Segni c’è una notevole differenza di stile personale.Ciò che però non è venuta meno è la convinzione che il dialogo sia indispensabile.Siamo arrivati tutti a una consapevolezza di fondo. Non c’è alternativa al dialogo, alla reciproca accettazione dell’altro. Del resto, ciò che abbiamo in comune è davvero tanto. Il Papa ad esempio si è soffermato molto sul Decalogo, cioè sulle regole morali che hanno fondato la nostra civiltà. Inoltre, bisogna dire che questi ultimi sono stati i 50 anni migliori nella storia dei rapporti ebraico-cattolici. Oggi abbiamo un’occasione storica per rendere irreversibile questo cammino di pari dignità e rispetto. Cosicché sia possibile contribuire ad instaurare nel mondo, per tutti, il rispetto dei diritti umani fondamentali e le diversità non siano mai più causa di conflitti ideologici o religiosi, bensì di reciproco arricchimento culturale e morale.Nel suo discorso di domenica, lei ha anche sottolineato la necessità di riempire di contenuto e dare il giusto significato al termine "fratelli", adoperato nella visita di Giovanni Paolo II 24 anni fa. In pratica, che cosa significa?Quando ci si considera fratelli, c’è l’accettazione totale dell’altro. Dunque, pur conservando ognuno la propria identità, siamo legati da amore, affetto e considerazione. Secondo me, dobbiamo porci degli obiettivi comuni, lavorare su progetti determinati, ad esempio per migliorare i rapporti tra i diversi popoli, in un’epoca che tende invece ad andare in senso opposto.Che cosa si può ipotizzare per il futuro?Mi piacerebbe poter fare un passo ulteriore nei rapporti reciproci. Ad esempio, rinunciare in maniera definitiva al tentativo di conversione dell’altro, ferma restando, ovviamente, la libertà di ognuno di cambiare quando vuole la propria religione.Ma lei ritiene che questi tentativi siano ancora in atto da parte cattolica?Non in Italia. Ma una rinuncia esplicita sarebbe meglio.Sulla visita di domenica alcune componenti del mondo ebraico non erano d’accordo. Ora, a visita avvenuta, che cosa si sente di dire loro?Rispetto la libertà di opinione di chiunque. Ma, visto il risultato, sono ancora più convinto che sia stata una visita utile e bella. L’errore sarebbe stato non farla. Una scelta che avrebbe prodotto incomprensioni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: