Il
count down per il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre) vede rapidamente assottigliarsi il numero dei giorni, e se l’assetto organizzativo ha ormai un profilo definito resta l’interrogativo su quanto dell’appuntamento decennale della Chiesa italiana e del suo tema («In Gesù Cristo il nuovo umanesimo») sia penetrato nella "base" ecclesiale. È da qui che parte la riflessione di monsignor Mansueto Bianchi, vice-presidente del Comitato preparatorio per il Centro, assistente generale di Azione Cattolica.
Come far entrare nel tessuto vivo della Chiesa italiana, a tutti i livelli, la consapevolezza dell’evento ormai alle porte?Il cammino di preparazione è stato assai lungo (oltre due anni) e ha avuto come principale obiettivo quello di suscitare l’attenzione e la partecipazione delle comunità cristiane, ma anche di una fascia della società italiana che non si riconosce esplicitamente nella proposta cristiana. Se il cammino verso il Convegno non avviene con le gambe, la mente e il cuore delle nostre comunità si riduce ad accademia o al ritrovarsi dei "soliti noti". Le risposte che abbiamo ricevuto dalle realtà ecclesiali di base (parrocchie, associazioni, movimenti...) e il livello di coinvolgimento che hanno espresso le diocesi dice che Firenze non sarà un evento "di carte e di voci" ma di passione e di progetti che segnerà il cammino delle nostre comunità nella linea dell’
Evangelii gaudium. In queste ultime settimane occorre intensificare la preghiera, l’informazione, la preparazione, soprattutto da parte del laicato e dei presbìteri.
Nella fase preparatoria si è molto ragionato di "nuovo umanesimo" cristiano. Ma in cosa consiste, e come renderlo alla portata di tutti?Il "nuovo umanesimo" è un’espressione forse apparentemente difficile o teorica per dire con san Paolo "chi è in Cristo è una creatura nuova!". Nuovo umanesimo vuol dire un modo di stare dentro la Chiesa segnato dall’esperienza forte della fraternità, dalla effettiva corresponsabilità, dal rispetto di pluralità talora anche in tensione tra di loro ma appassionate da un obiettivo comune che è la fede nel Signore e il dono del Vangelo al mondo. Nuovo umanesimo vuol dire una comunità cristiana in uscita verso la "gente", verso la città, per porre quei segni di accoglienza e di servizio che sono semplicemente evangelici e perciò anche stupendamente umani e hanno la capacità di raccontare un modo diverso di essere persone, di fare vita, relazioni, città. Il nuovo umanesimo è quello che nasce, dentro e fuori di noi, quando il Vangelo intride la vita. Il Convegno indicherà cinque percorsi (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) Ma questi cinque verbi avranno due compagni inseparabili: la fatica e la gioia.
Cosa sta indicando il Papa al Convegno?Due cose fondamentali. La prima: ripensarci come Chiesa in uscita, verso la vita di persone che hanno un impressionante bisogno di Vangelo, di Gesù, ma che ogni giorno di più si allontanano da noi, dalle Chiese, dai requisiti, dalle osservanze... La seconda: una Chiesa che va incontro alla gente deve essere, inevitabilmente, un abbraccio di misericordia. Come quello del Padre nella Croce di Gesù. La gente dobbiamo accoglierla così com’è, con le sue ricchezze e povertà: siamo un "ospedale da campo", ci ricorda il Papa. Noi possiamo indicare la meta ma non prestabilire il punto di partenza: lo riceviamo e lo accogliamo, con grande comprensione e misericordia. Diversamente si diventa un’élite, un gruppo preselezionato. Vorrei solo aggiungere che non riusciremo a essere una Chiesa in uscita o misericordiosa se non ci consegniamo più radicalmente allo Spirito del Signore, che ci "schiodi" da preoccupazioni di struttura, numeri, vetrine, e ci crei un cuore più libero e innamorato del Vangelo e della vita. Una delle principali attenzioni nella fase preparatoria è stata quella di evitare una celebrazione autoreferenziale e un simposio per intellettuali.
A quali condizioni secondo lei si potrà conseguire questo risultato?L’autoreferenzialità e l’intellettualismo sono due rischi mortali non solo per il Convegno di Firenze ma anche per il cattolicesimo italiano. Concretamente penso che il Convegno debba dare grande spazio e ascolto al vissuto delle nostre comunità, anche a esperienze nuove che si intraprendono, fino a indicare due o tre scelte concrete sulle quali le nostre Chiese accettino di aprire percorsi sinodali, in sintonia con il progetto di Chiesa che Papa Francesco ci ha affidato con l’
Evangelii gaudium.
In che modo far sentire coinvolte le associazioni e i movimenti ecclesiali?Penso che siano realtà che hanno parole e proposte specifiche da far risuonare nel Convegno, come loro apporto alla "polifonia" della Chiesa. In particolare esperienze di formazione alla fede, di iniziazione cristiana, di presenza e proposta evangelizzatrice nella società italiana, di servizi e di solidarietà. Attraverso i delegati al Convegno e gli invitati, le singole realtà potranno fare un’esperienza straordinaria di ecclesialità, di complementarietà, di comunicazione dei doni che sono dati dallo Spirito per la ricchezza comune. Direi che l’Azione Cattolica per la sua storia, la sua rilevanza, la sua originalissima identità ha una voce da esprimere, un messaggio da portare. Lo farà dall’interno delle rappresentanze diocesane in cui è presente e anche attraverso i suoi rappresentanti nazionali. Credo che con diverse voci l’Azione Cattolica porterà a Firenze le tre passioni che le accendono il cuore: per la Chiesa, la vita, la laicità.
Qual è lo stile della testimonianza dei laici cristiani di cui oggi la società italiana ha bisogno?Penso che debba avere tre caratteristiche. La prima: una testimonianza chiara. Il Vangelo deve essere proposto in tutta la sua semplicità, radicalità e bellezza. Non si praticano sconti per inseguire il successo o per sedersi al tavolo dove si spartisce la torta del potere e del denaro. La seconda: rispettosa. Il laico sa che il Vangelo è più grande di lui, ma anche il cuore delle persone è più grande dei loro limiti ed errori. Questo libera dall’ansietà e genera speranza. È così che la testimonianza si differenzia dal proselitismo: perché prima di parlare sa ascoltare, sa capire, sa amare la persona. La terza: pertinente. La testimonianza non può essere la costruzione di una città parallela e alternativa a quella già esistente, e neppure il ritagliarsi una fetta dentro di essa. Sono i rischi ben noti del partito cattolico, dell’economia cattolica, del potere cattolico, con gli esiti anche recenti che ben conosciamo. Una testimonianza "pertinente" è lo stare del cristiano dentro la realtà, in mezzo alla persone, così come sono, promuovendo, con la vita e la parola, la centralità della persona e della sua dignità, secondo il progetto di Dio, con modalità e strumenti che l’ambito di vita o la professione gli offre e gli permette di creare.
Firenze cade a metà strada tra Sinodo sulla famiglia e inizio del Giubileo della misericordia: cosa legge in questo intreccio di suggestioni?Stiamo vivendo una stagione straordinaria di vita ecclesiale, sia per la pluralità degli eventi che per la decisività dei contenuti. Noto un comune denominatore: una Chiesa che faticosamente ma lealmente cerca di essere un "evangelo di misericordia", non in senso facilone e qualunquistico ma riscoprendosi come rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci, campo in cui grano e zizzania crescono insieme. Il compito della Chiesa è fare a tutti il dono del Vangelo, che è insieme misericordia e verità, ben sapendo che il giudizio si fa solo alla fine. E non lo facciamo noi! A noi spetta il gesto della misericordia che è l’amore più grande: amare non secondo il merito ma secondo la povertà e il bisogno di ciascuno.
Cosa si attende, e cosa spera, dal Convegno di Firenze?Due cose: l’avviarsi di percorsi sinodali su concreti e condivisi obiettivi pastorali, nelle diocesi, nelle regioni, a livello nazionale; un passo deciso e concorde della Chiesa in Italia nella direzione dell’
Evangelii gaudium.