Il vescovo di Città di Castello, Domenico Cancian, che chiama uno per uno i malati Covid della sua diocesi - Avvenire
«Pronto, posso salutarla? Sono il vescovo…». La voce è delicata e lo stile garbato. Da un capo della linea c’è Domenico Cancian, il vescovo di Città di Castello che ha scelto il telefono per il suo “apostolato di prossimità” al tempo della pandemia. Dall’altra parte, uno dei malati a causa del coronavirus, costretti all’isolamento nel reparto Covid dell’ospedale cittadino oppure a casa dove affrontano la quarantena. Non passa giorno che Cancian non chiami uno, due, tre contagiati di questo angolo dell’Umbria. Ha mobilitato i suoi preti e una “rete di amici” perché gli segnalino «le sofferenze che si vivono in un frangente così complesso», racconta il vescovo. E spiega: «Se fossimo in un periodo normale, senza restrizioni, andrei di persona a trovare i malati. Ma siccome non è possibile, la sola modalità che mi resta per offrire una parola di conforto è il telefono». E non solo quello. Perché Cancian si affida anche a WhatsApp o agli sms per farsi prossimo a tutti coloro che sono colpiti dal virus.
Parla con chi è ricoverato o con chi è chiuso fra le mura domestiche il “vescovo della misericordia” che appartiene ai Figli dell’amore misericordioso, il ramo maschile della famiglia religiosa fondata da Madre Speranza. «Anche se talvolta non ho una conoscenza diretta degli interlocutori, scelgo comunque di essere vicino a quanti attraversano situazioni, in molti casi, davvero difficili – afferma –. Mi presento. E aggiungo subito: “Ho saputo che non sta bene. Se mi permette, vorrei esprimerle il mio personale pensiero di incoraggiamento e, se gradisce, dire anche una preghiera o darle una benedizione”». Molti restano sorpresi. «Ma le risposte sono sempre bellissime». Non si tratta di telefonate di circostanza. Possono durare persino qualche decina di minuti, benché Cancian le definisca «piccole chiamate». «È fortissima la solitudine dei malati, come loro stessi riferiscono. In ospedale a fare la differenza è il personale sanitario insieme a qualche chiamata». È al fianco di medici e infermieri, il vescovo, che «mettono a rischio la propria vita per gli altri», sottolinea. E ad alcuni di loro ha affidato un ministero “straordinario”. «Dato che il cappellano non può entrare nell’area Covid, ho autorizzato sia medici sia infermieri di provata fede a distribuire la Comunione. Con somma gioia di chi la riceve e anche di chi la porta».
I dialoghi del vescovo con i “suoi” malati sono diventati una singolare scuola di umanità e santità. «Ringrazio il Signore di avermi fatto imbattere in testimonianze davvero commoventi che parlano di croci portate con grande dignità». E ripercorre il colloquio con una paziente, una madre di famiglia, rimasta per due mesi nel reparto Covid. «È stata fra la vita e la morte, con il casco dell’ossigeno indossato per settimane. Il personale ospedaliero l’ha spronata a non arrendersi. E qualche giorno fa è stata dimessa. Quando l’ho chiamata, ho saputo che è di Perugia. Mi ha detto: “Questa sofferenza mi ha cambiato perché vedo il mondo in un altro modo. E in ospedale ho trovato una seconda famiglia. Resteranno sempre impressi nella mia mente gesti, sguardi e parole che mi hanno aiutato; altrimenti forse non ce l’avrei fatta”». Qualcuno ha confidato a Cancian di sperimentare il silenzio di Dio. «Di fronte a una prova che, come mi dicono i contagiati, può essere al limite della sopportazione, si può avvertire un senso di sconforto spirituale. Se è accaduto a Gesù in croce quando ha implorato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, tanto più è comprensibile per ciascuno di noi».
Anche nel giorno di Natale il vescovo ha programmato qualche telefonata di auguri. A chi è in ospedale, anzitutto. «Ma anche a un nostro sacerdote che grazie a Dio ce l’ha fatta a superare la fase acuta del Covid ma sta ancora soffrendo perché il virus lo ha debilitato. Sentire una voce fraterna non è cosa da poco quando si è angosciati. Lo ripeto ai preti e alle persone di buona volontà: riservate un po’ di tempo a qualche chiamata che faccia percepire a chi è nel dolore di essere sostenuto, ascoltato e amato. Si tratta di gesti semplici». Una pausa. «Ci aspetta un Natale diverso – conclude Cancian –. Non perché ci mancheranno le cene o i pranzi, le feste o lo scambio dei regali: questa è una visione consumistica. Facciamo in modo di riscoprire il “Natale di Gesù”, come mi piace chiamarlo, che è venuto al mondo povero, umile e sofferente ma ci ha donato una speranza nuova».