domenica 10 agosto 2014
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Prendere carta e penna, scrivere una lettera al Papa per invitarlo a fare un viaggio di novemila chilometri e vedersi rispondere di sì. Quello che all’inizio era un sogno o tutt’al più un desiderio difficile da concretizzare, per il vescovo di Daejeon, Lazzaro You Heung Sik, è diventato realtà.  Il presule, che ha 63 anni ed in passato è stato direttore della Caritas nazionale e responsabile della pastorale giovanile, con la sua iniziativa ha praticamente messo in moto la 'macchina' del primo viaggio in Estremo Oriente di Papa Francesco. E ora che – insieme all’arcivescovo di Seul, cardinale Andrew Yeom Soo-jung, e agli altri vescovi coreani – si appresta ad accogliere il Pontefice nel suo Paese (il prossimo 14 agosto), di 'sogno' ne ha un altro: «Sono certo – afferma – che questa visita sarà come un vulcano. Una vera epifania di Dio». Come ha fatto a 'convincere' il Papa a venire in Corea? Ho cominciato a pensarci dopo la Gmg di Rio de Janeiro, alla quale hanno partecipato anche 350 giovani coreani. Mi sono detto: che bello sarebbe se il Santo Padre venisse alla Gmg asiatica. Così ne ho parlato con il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, e con il nunzio in Corea, l’arcivescovo Osvaldo Padilla, ed è nata l’idea della lettera. Mi hanno riferito che dopo averla letta, il Santo Padre abbia detto: «Dobbiamo andare in Corea». Lo ringrazio per aver accettato l’invito e sono certo che sarà per tutti noi uno stimolo per la nuova evangelizzazione. È la terza volta che un Papa giunge in Corea. Secondo lei, quale sarà l’elemento saliente della visita? L’arrivo di Giovanni Paolo II nel 1984 fu il momento del risveglio della nostra Chiesa. Il suo ritorno nel 1989 fu l’incontro con la società civile alla ricerca di libertà e sviluppo. Quella di Francesco sarà la visita della missione. Missione verso i giovani, missione in Asia. La sua presenza, le sue parole saranno determinanti per rilanciare l’annuncio del Vangelo in Corea e in tutto il Continente. Missione verso i giovani. Come è attualmente la situazione? Devo essere sincero. Nonostante la nostra Chiesa sia cresciuta tantissimo a livello numerico (nella mia diocesi solo quest’anno ci sono stati 8mila battesimi), con i giovani abbiamo alcune difficoltà. La sfida maggiore per noi è l’ateismo pratico di una società fortemente competitiva che spinge a pensare solo ai soldi e al successo nel mondo del lavoro. Per la fede molti giovani sembrano non avere tempo. Anche se apprezzano le opere sociali della Chiesa e la trasparenza con cui vengono gestite le offerte. C’è bisogno di nuova passione per la pastorale giovanile e crediamo che la testimonianza della carità sia la strada per avvicinare le giovani generazioni. Lei è stato battezzato a 16 anni. Che cosa l’ha spinta a diventare cristiano? Quando ero giovane, mi chiedevo spesso perché le nazioni dell’Occidente cristiano fossero così sviluppate, mentre da noi la povertà era ancora tanto diffusa. Ho cominciato a leggere libri cristiani e ho scoperto il Dio che si fa carne ed entra in relazione d’amore con gli uomini. La religiosità orientale non conosce il volto di Dio, non conosce il Dio persona e relazione e quindi non sa fare comunità. Perciò l’Assoluto che assume il volto di Cristo ha colpito il mio cuore. Questa differenza di concezione spiega anche la difficoltà della missione in Asia? E allora quali strade bisogna seguire? Sì, questo è l’ostacolo maggiore per l’inculturazione del cristianesimo in Asia. Il modello è la testimonianza, a volte anche estrema, come quella dei martiri coreani. Oggi la nostra Chiesa, fecondata dal sangue di quei martiri, è diventata missionaria. Solo nella mia diocesi abbiamo 15 sacerdoti in missione in Mongolia, Giappone, Cile, Ecuador, Taiwan, Filippine, Cina e persino in Francia. L’anno scorso abbiamo fornito 14 automobili ai missionari coreani all’estero. E in rapporto alla Corea del Nord com’è la situazione? Quando ero direttore della Caritas, sono andato quattro volte a Pyongyang a portare aiuti e ho stabilito contatti anche con le autorità. Poi il regime si è chiuso ancora di più e oggi rifiuta anche gli aiuti. Ma noi continuiamo a pregare e a sperare nella riconciliazione.
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