Il "modello libanese" come motore di sviluppo. Ma, è la domanda, in che modo lo è? E, soprattutto, è un modello esportabile? Le parole di Benedetto XVI sul Paese «modello di convivenza» interrogano e sollecitano monsignor Paul Sayah.«Innanzitutto – spiega il vicario del patriarcato maronita di Bkerké – il Libano è l’unico Paese del Medio Oriente in cui cristiani e musulmani abbiano raggiunto, era il 1943, un accordo sul governo del Paese. In base a questo, ciascuna delle due comunità ha la responsabilità di metà dell’amministra- zione del Paese. Inoltre questo è l’unico Paese del Medio Oriente in cui c’è una separazione effettiva tra religione e Stato. Questa 'unicità' del Libano, pertanto, questa ragione simbolica, soprattutto in questo momento di grandi cambiamenti, ritengo sia alla fine il motivo per cui il Papa è venuto».
In questo senso, anche l’accoglienza riservata al Papa da parte dei musulmani è significativa. Certamente. È stata prima un’attesa, e poi un’accoglienza, molto calorosa, perché hanno capito che il Papa viene per tutti. Non c’è stato un momento, nonostante quello che si è detto a causa della situazione, in cui la visita è stata in discussione. Il Papa è un uomo di pace, viene a portare speranza, e loro come tutti anelano alla pace. Ci sono state anche qui alcune proteste, è vero, ma in una democrazia è normale, dirai anche salutare, che possa esserci qualche voce dissonante.
Lei ha parlato della 'unicità' del Libano. In che modo si esprime, concretamente, questa unicità, e in che misura è stata ed è un motore di crescita per il Paese? In base agli accordi di cui ho detto, c’è una tensione costante all’equilibrio che si esprime in tutte le cose. Se vogliamo costruire una nuova chiesa, il permesso viene dato quando c’è la possibilità di costruire una nuova moschea; questo vale per tutto, anche per l’apertura di una scuola, o di un’università, di una qualunque istituzione. Questo automaticamente significa un arricchimento per tutta la società nel suo insieme, perché vuol dire che in questo modo si creano più occasioni per tutti i cittadini, senza esclusioni.
Però c’è chi dice, oggi, che questo equilibrio 50-50 non è più attuale, visto che le due comunità non sono più numericamente allo stesso livello. È vero, oggi da qualche parte il principio viene contestato. La presenza cristiana negli ultimi decenni s’è ridotta, oggi rappresenta forse il quaranta per cento contro il sessanta, e s’è ridotta un po’ per l’esodo dei cristiani durante la guerra civile, un po’ per questioni meramente demografiche. Tuttavia questo, a parte le poche eccezioni sollevate da qualche parte, no porta mettere in discussione il principio del bilanciamento perfetto, e i primi a non volerlo alterare sono gli stessi musulmani perché si sono resi conto, come dicevo poco fa, che proprio questo principio ha garantito ed è garanzia della democrazia e dello sviluppo del Paese.
Ma è, per così dire, un modello esportabile? La chiave di tutto è il dialogo. Costante. Finché si riesce a parlare, a confrontarsi, tutto è possibile. Noi l’abbiamo imparato, purtroppo, sulla nostra pelle, e sappiamo che la violenza non porta da nessuna parte. Oggi vediamo questa primavera araba - io preferisco parlare di 'risveglio' - e non sappiamo che cosa accadrà, il nostro augurio e la nostra speranza è che porti a una vera democrazia; vediamo quello che è successo in Iraq, a quella tragedia, e vediamo che cosa purtroppo sta succedendo in Siria, e conosciamo per esperienza che tanta violenza non ha altro sbocco che nuova violenza, prima o poi comunque ci si dovrà sedere attorno a un tavolo e parlare. Invece che rifornire di armi i ribelli, i Paesi occidentali dovrebbero lavorare in questa direzione.