Il messaggio cristiano «non deve essere abbassato» a ciò «che piace all’opinione pubblica». Immutabile nel tempo, esso, piuttosto, deve fecondare la quotidianità dell’uomo. Per questo, «esattamente come fecero i padri conciliari, dobbiamo portare l’oggi che viviamo alla misura dell’evento cristiano, dobbiamo portare l’oggi del nostro tempo nell’oggi di Dio».È al piccolo gruppo dei sessantanove partecipanti al Concilio Vaticano II arrivati a Roma per l’apertura dell’Anno della Fede, convocato nei 50 anni dall’apertura di quell’assise che, ieri mattina, Benedetto XVI s’è rivolto, ricevendoli in udienza e, più tardi, a pranzo. Incontrandoli nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, presenti anche patriarchi e arcivescovi delle Chiese orientali cattoliche, numerosi presidenti delle Conferenze episcopali del mondo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il primate anglicano Rowan Wiliams, il Papa ha sottolineato come sia l’attualità che vive l’uomo a dover essere ricondotta ogni volta all’eternità di Dio. «Sono tanti i ricordi – ha detto il Pontefice rivolgendosi ai presenti – che affiorano alla nostra mente e che ognuno ha ben impressi nel cuore di quel periodo così vivace, ricco e fecondo che è stato il Concilio; non voglio, però, dilungarmi troppo, ma vorrei ricordare solamente come una parola, lanciata dal beato Giovanni XXIII quasi in modo programmatico, ritornava continuamente nei lavori conciliari: la parola "aggiornamento"».Mezzo secolo dopo dall’apertura di quella solenne assise, ha proseguito il Papa, «qualcuno si domanderà se quell’espressione non sia stata, forse fin dall’inizio, non del tutto felice. Penso che sulla scelta delle parole si potrebbe discutere per ore e si troverebbero pareri continuamente discordanti, ma sono convinto – ha affermato – che l’intuizione che il beato Giovanni XXIII compendiò con questa parola sia stata e sia tuttora esatta».Il cristianesimo infatti, per Benedetto XVI, «non deve essere considerato come "qualcosa del passato", né deve essere vissuto con lo sguardo perennemente rivolto "all’indietro", perché Gesù Cristo è ieri, oggi e per l’eternità». Ciò perché il cristianesimo, ha continuato a spiegare, «è segnato dalla presenza del Dio eterno, che è entrato nel tempo ed è presente a ogni tempo, perché ogni tempo sgorga dalla sua potenza creatrice, dal suo eterno "oggi"». Ed è allora per questo, ha aggiunto papa Ratzinger, che «il cristianesimo è sempre nuovo. Non lo dobbiamo mai vedere come un albero pienamente sviluppatosi dal granellino di senape evangelico: è un albero in perenne aurora, sempre giovane».Da qui sgorga un’ulteriore riflessione, e cioè che «questa attualità, questo aggiornamento non significa rottura con la tradizione, ma ne esprime la continua vitalità; non significa – ha insistito il papa – ridurre la fede, abbassandola alla moda dei tempi, al metro di ciò che ci piace, a ciò che piace all’opinione pubblica, ma è il contrario: esattamente come fecero i padri conciliari, dobbiamo portare l’oggi che viviamo alla misura dell’evento cristiano, dobbiamo portare l’oggi del nostro tempo nell’oggi di Dio».«Il Concilio – ha concluso – è stato un tempo di grazia in cui lo Spirito Santo ci ha insegnato che la Chiesa, nel suo cammino nella storia, deve sempre parlare all’uomo contemporaneo, ma questo può avvenire solo per la forza di coloro che hanno radici profonde in Dio, si lasciano guidare da Lui e vivono con purezza la propria fede; non viene da chi si adegua al momento che passa, da chi sceglie il cammino più comodo. Santità è far entrare l’oggi eterno di Dio nell’oggi della nostra vita».